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Maserati Biturbo

Maserati Biturbo

Quotazione da 7.000 € a 35.000 €

 

Nelle intenzioni di Alejandro de Tomaso, il vulcanico imprenditore argentino di nascita e italiano d’adozione all’epoca al timone dell’azienda, avrebbe dovuto rappresentare l’auto della svolta per la Maserati. E in effetti, con la Biturbo, i riflettori tornarono ad accendersi sulla casa del Tridente: prodotta per un decennio, tra il 1982 e il 1992, questa grintosa ed elegante coupé ottenne subito riscontri lusinghieri anche in virtù di un prezzo decisamente competitivo (al lancio, costava poco più di 22 milioni di lire). Nonostante i presupposti per una luminosa carriera ci fossero tutti, l’avventura della Maserati Biturbo fu più travagliata del previsto e, soprattutto a causa di una serie di problemi di affidabilità meccanica (dovuti a uno sviluppo e a una messa a punto troppo frettolosi), la produzione non raggiunse mai il target previsto di 5.000 auto all’anno. Al di là dei numeri, a più di quarant’anni dal debutto la Biturbo conserva un fascino tutto particolare, legato alle forme della sua classica ed elegante carrozzeria coupé e a un motore che quanto a brutalità e progressione non aveva rivali nella categoria. Sotto il cofano pulsava un V6 alimentato a carburatori derivato da quello della Merak: aveva 3 valvole per cilindro e un sistema di sovralimentazione composto da due turbine fornite dalla giapponese IHI. Inizialmente la cilindrata era di 2491 cc (con 192 CV) per i mercati esteri e di 1996 cc (180 CV) per l’Italia (scelta, quest’ultima, dettata dalla tassazione dell’IVA al 38% per le auto mosse da motori con cilindrata superiore ai due litri). Nel 1984 venne presentata la Biturbo S, il cui motore 2.0 raggiunse i 205 CV grazie all’adozione di un intercooler, e che all’interno si distingueva per i raffinati rivestimenti firmati Missoni. Lievi modifiche riguardavano la carrozzeria, resa più sportiva da una nuova mascherina a nido d’ape e dalle prese d’aria sul cofano. Un anno più tardi arrivarono le Biturbo 425 e le Biturbo Spyder. La prima era la variante a quattro porte della coupé, mentre la seconda era una due porte con il tetto in tela allestita dalla Zagato. Qualche mese dopo toccò alle Biturbo 420 e Biturbo Spyder 2.0 da 180 CV, destinate all’Italia. A partire dal 1987 tutti i modelli beneficiarono dell’alimentazione a iniezione elettronica Multipoint, che determinò un leggero incremento delle potenze. Al 1998 risale il primo, importante restyling a firma di Marcello Gandini, che modifica il frontale, i paraurti, i cerchi e gli interni, migliorati nelle finiture. Per quanto riguarda i motori, alla base della gamma c’era il V6 biturbo di 1996 cc con 223 CV, al quale si affiancavano il 2.0 a 24 valvole con 245 CV (montato sulle Biturbo 2.24V e Biturbo 4.24V) e, al vertice, un nuovo V6 con quattro valvole per cilindro (2790 cc e 250 CV) per le versioni 430i, 228 e Spider 2.8i. Il secondo restyling arrivò nel 1991 con l’introduzione della Racing, prodotta in soli 230 esemplari. L’auto era mossa da una versione evoluta del V6 a 24 valvole che raggiungeva una potenza di 285 CV. La Racing anticipava le linee della successiva Biturbo 224 con un frontale modificato, fari poliellissoidali e cerchi a razze con disegno simile a quelli della più estrema (e ancor più esotica) Shamal. La carriera della Maserati Biturbo si concluse nel 1992, anno in cui venne sostituita dalla Ghibli, un modello nuovo che, pur al netto di modifiche profonde e sostanziali, derivava comunque dalla stirpe Biturbo.

Leggi anche: Maserati, l’epopea delle Biturbo 

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