
Cinque auto per farti figo con meno di 5.000 euro
Negli anni ’80 e ’90, i ragazzi freschi di patente col paparino pieno di soldi avevano l’imbarazzo della scelta su quale macchina farsi regalare per poi schiaffarla in seconda o terza fila davanti al bar e fare colpo sulle ragazze più sexy del quartiere. Oggi, invece, tra ferree regole per i neopatentati e un listino che di macchine cazzute per i più giovani langue miseramente, il ventaglio di opportunità si è drasticamente ridotto. Ma un vantaggio c’è: le macchine dei figli di papà di trenta-quarant’anni fa, ancora alla moda con il loro look rétro, costano un quarto di un’utilitaria nuova e hanno il non trascurabile pregio di essersi scrollate di dosso quell’aria un po’ snob che faceva schiattare d’invidia chi non poteva permettersele. Eccone cinque che fanno ancora una gran bella figura e che, con un po’ di pazienza e fortuna, potreste portarvi a casa anche a meno di 5.000 euro.
AUTOBIANCHI Y10. A metà anni ’80 questa sciccosissima citycar teneva sveglie di notte le ragazze che sognavano di fare la top model o la consorte di un top manager rampante con l’American Express di platino, la Mercedes decappottabile e la villa in Costa Azzurra. E la versione Turbo, ve la ricordate? Quella piccola scheggia impazzita sembrava fatta su misura per i fighetti dal piede pesante: a guardarla quasi non la distinguevi da qualsiasi altra Y10, ma con i suoi 85 cavalli ai semafori faceva tremare di paura persino chi guidava una Golf GTI. A meno di 5.000 euro, però, potete scordarvela: dovrete accontentarvi di una più tranquilla 1.1, a meno che non abbiate il colpo di fortuna di imbattervi in una 4×4 in buone condizioni. In ogni caso, di una cosa potete star sicuri: non passerete inosservati.
VOLKSWAGEN GOLF CABRIOLET. Poche chiacchiere: le cabriolet, solitamente, sono le classiche macchine di quei playboy che, passati i sessanta e fatto pace con rughe e capelli bianchi, hanno appeso al chiodo camicie firmate, giubbotti di pelle, flaconi di Acqua di Parma e qualsiasi altra arma di seduzione maschile vi venga in mente. Ora, la Volkswagen Golf degli anni ’80 con il tetto in tela non avrà il fascino irresistibile di una spider rombante a due posti secchi, ma di stile ne ha da vendere. Se non siete dei single incalliti perennemente a caccia di nuove avventure e amate condividere i viaggi con l’aria tra i capelli anche con gli amici, potreste farci un pensierino.
DAIHATSU FEROZA. Con questa piccola ma rocciosissima fuoristrada giapponese, che in patria e in America si chiamava Rocky, come l’eroico pugile italoamericano interpretato da Sylvester Stallone che sul ring le suonava di santa ragione a culturisti di ogni etnia, taglia e colore, negli anni ’90 i ragazzini abbronzati e profumati delle famiglie bene acquisivano per direttissima il fascino tipico degli avventurieri più coraggiosi. Ovviamente, l’unica giungla frequentata da questi dissoluti Indiana Jones metropolitani in giacca di renna su Levi’s strappati alle ginocchia era quella urbana e la manovra più ardita la più classica delle soste selvagge: l’intramontabile parcheggio a lisca di pesce con mezza macchina sul marciapiede. Roba da mandare in bestia un reduce del Camel Trophy, ma che faceva venire gli occhi a cuoricini alle piccole ereditiere che con le amiche parlavano solo del loro sterminato e ricchissimo guardaroba.
OPEL CALIBRA. Negli anni ’90 l’immagine della Opel non era poi così diversa da quella odierna: un’onesta fabbrica di oneste auto per gente che bada al sodo e non ha troppi grilli per la testa. All’epoca, però, in questa placida famigliola di utilitarie senza troppe pretese e rassicuranti famigliari a buon mercato c’era una pecora nera di tutt’altra razza. Con la sua carrozzeria possente ma elegante, la Calibra dava subito l’idea del macchinone e così è ancora oggi. Con un budget intorno ai 5.000 euro dovrete mettervi l’anima in pace e depennare la Turbo 4×4 e la V6 in favore di una meno pimpante 2.0, ma non fatene un dramma: non dovete fare le mica le corse. E poi, tranquilli: a un aperitivo al tramonto sul lungofiume, che la vostra coupé abbia 116 o 204 cavalli, non importerà proprio a nessuno.
VOLVO 240 POLAR. Le matricole di Lettere e Filosofia che su un paio di Birkenstock fiammanti da 150 euro bighellonano tra caffé letterari, cineforum impegnati e mercatini equosolidali e a un certo punto decidono di mollare la loro bicicletta di ventesima mano targata “No oil” per una 240 Polar S.W., solitamente di Volvo sanno quanto una letterina sa di calcio. Ma francamente la cosa non ha tutta questa importanza ed è anche comprensibile, visto che la storia delle indistruttibili auto che arrivano dal freddo gelido della Svezia, di norma, non appassiona quanto quella della Ferrari o della Porsche. Sin dagli anni ’70, il micidiale uno-due tra silhouette da carro funebre e baule a prova di trasloco di questa formidabile macinatrice di chilometri ha generato due schieramenti opposti: c’è chi la trova semplicemente brutta e chi invece trova terribilmente allettante l’idea di poter non pagare un extra al’Ikea per il trasporto dei mobili di cucina, bagno, soggiorno, camera da letto, studio, sgabuzzino e cantina. Se fate parte di questa seconda fazione (e siete di quei rivoluzionari da salotto che il vino lo bevono solo se “a chilometro zero” e la fame nel mondo la combattono dal tavolino di un bistrot vegano), non perdete altro tempo e cercatene una con almeno 400.000 km: non vorrete mica prendervi la briga di finire il rodaggio?
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Un bellissimo spaccato di un tempo che fu… raccontato con stile, tra l’ironico e il sardonico… l’apologia mascherata del romanticismo, di un modo esuberante e dissacrante di usare l’automobile come complice delle conquiste perdute.