
Il car design è finito in prigione e quella prigione si chiama passato
C’è stato un tempo in cui il car design era sinonimo di coraggio. Un tempo in cui, ai saloni dell’automobile, non ci si andava per vedere la nuova generazione di un’auto già vista, ma per lasciarsi sorprendere. Questo accadeva per merito dei designer più “folli” e visionari e alle carrozzerie, altrettanto fuori dall’ordinario, per cui quei designer lavoravano: Pininfarina, Bertone, Ghia, Vignale, e via discorrendo. Quelli erano i veri “coraggiosi” del mondo dell’auto. Gente che, pur di provare a fare qualcosa di mai visto prima, era disposta a esporsi al rischio di una pioggia di fischi.
IL CORAGGIO DI SOGNARE. Ma non c’erano solo i carrozzieri. Anche i colossi come la Ford, la Fiat o la Renault, giusto per citarne alcuni, desideravano essere protagonisti di quella stagione di audacia e sperimentazione. Erano tempi in cui le aziende, pur producendo milioni di auto, conoscevano bene il significato di parole che oggi sembrano aver dimenticato: sognare, anticipare, osare. Il futuro era una meta da raggiungere, non un ricordo da replicare.

La presentazione della Fiat 600 al salone di Torino del 1955
IL CORAGGIO DI PROVOCARE. Il salone di Torino era la massima espressione di quella tensione. Un laboratorio di idee, un luogo dove la provocazione non solo era ammessa, ma era benvenuta. La forma inseguiva a ritmi frenetici un senso nuovo, rispettando, però, il valore del tempo che sempre serve per fare qualcosa di veramente buono. Oggi quella massima espressione non esiste più, come del resto, e mica per caso, non esiste più il salone, svanito insieme alla sua più grande ragion d’essere: la possibilità di immaginare.

La Fiat Nuova 500 degli anni ’50 ha ispirato le forme dell’erede dei giorni nostri
MEGLIO ANDARE SUL SICURO? Oggi, nel mondo del design dell’auto, accade l’esatto opposto di quel che accadeva sessanta, cinquanta o anche solo trenta, quarant’anni fa. Fateci caso: le auto di oggi, almeno quelle che raccolgono i pareri più favorevoli della critica e del pubblico, non guardano a un futuro ancora da disegnare, ma ai modelli di una volta. La ricerca non guarda più avanti, ma si volta indietro, cercando di aggrapparsi a un passato che è solido, rassicurante e indubbiamente pregno di ispirazione. Così il design finisce col perdere la sua componente più immaginaria in favore di un culto per la nostalgia che talvolta può restituire risultati meravigliosi, ma che di nuovo non hanno nulla.

Sopra, la Renault 5 elettrica arrivata nel 2024; sotto, l’antenata degli anni ’70

LA MEMORIA PERDE IL SUO VALORE. Il car design, quindi, sta davvero rischiando di ridursi a un semplice esercizio di nostalgia, un restauro rassicurante? La sensazione è che la memoria sia diventata un prodotto da consumare in fretta, come un caffè al banco, la nostalgia una leva commerciale, il rischio un qualcosa da evitare ogniqualvolta è possibile.
UN BUON ESEMPIO… Un esempio concreto di questa “deviazione” verso il culto del passato intrapresa dal car design è rappresentato dalla nuova Renault Twingo, che da un punto di vista stilistico è un’auto assai ben riuscita. Ma l’aggettivo nuova esula dal semplice fatto che sia il modello di quarta generazione della city-car francese? In altre parole: è un’auto nuova, ma ha davvero qualcosa di nuovo da raccontare, o è la replica di un film già visto? Tolti i due sportelli in più e il fatto che sia diventata elettrica, in fondo, l’auto sembra la fotocopia di quella, simpaticissima e a suo modo geniale, di inizio anni ‘90. Effetto revival brillantemente riuscito, non c’è che dire. Ma nulla di nuovo, sul fronte dello stile.

La simpatica Renault Twingo del 1993, musa ispiratrice della sfiziosa city-car elettrica da poco svelata dalla casa francese

… E UN CAMPANELLO D’ALLARME. Il passato ci affascina quando ricordandolo la nostra mente si perde in ricordi più piacevoli del presente che viviamo, e automobilisticamente parlando è quasi naturale esserne schiavi. Ma questo, se l’obiettivo è davvero inseguire quel progresso tanto sbandierato dalla politica e dall’industria di oggi, può andar bene per chi di automobili è un “semplice” appassionato, non per chi a fine mese riceve uno stipendio per disegnarle. Altrimenti, che progresso sarebbe? Il design dovrebbe essere un’altra cosa. Dovrebbe essere innovazione e confronto, ricerca, ambizione e, perché no, anche sregolatezza. La capacità di strappare, con la forza invisibile delle idee, le maglie del conformismo. Solo così il design può restare fedele alla sua funzione più autentica: essere un motore del cambiamento.


















