Endurance, la prova di durata: Suzuki Katana

Endurance, la prova di durata: Suzuki Katana

Sarà stato il caldo. Può essere. Anche perché quando sono andato a prenderla era una di quelle giornate che ti sembra che il cambiamento climatico può succedere anche in un solo pomeriggio. A Monza. Sia quel sia, il fatto è che appena l’ho vista ho avuto un mancamento. Ma poi ho capito: a volte per tornare indietro di decenni basta un’occhiata, per questo l’accelerazione ha un ‘g’ da kamikaze in picchiata. Già perché la Suzuki più trasgressiva di sempre compie i suoi primi quarant’anni (qui trovi un ripasso della sua storia). E Veloce ha deciso di festeggiare il compleanno insieme a sua nipote, la nuova Katana. 

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C’ERA UNA VOLTA UN POSTER. La prima volta che ho visto la Katana avevo sette anni: e era appesa nella mia cameretta. Giuro. Il fatto è che un amico di mio padre l’aveva appena comprata e gli avevano regalato un enorme poster, in stoffa. Che mi aveva piazzato proprio sopra il letto. E così per anni la Katana è stata l’ultima cosa che ho visto prima di spegnere la luce e la prima con cui mi sono svegliato ogni mattina. Che premessa a effetto, eh? L’ho fatta apposta per farti capire che cosa vuol dire per un figlio di quei tempi paninari ritrovarsi davanti di colpo a un pezzo di Anni ’80. Per questo appena me l’hanno consegnata non sono riuscito a partire subito, la volevo guardare negli occhi per vedere se anche lei mi avrebbe riconosciuto… Ma devo ammettere che per me, riconoscerla, è stato più semplice. In tutto questo tempo io sono cambiato un casino, adesso ho più barba che capelli, mentre lei è sempre lei. I quattro cilindri ci sono ancora tutti belli allineati e quel becco rapace, pure. Certo adesso ha il telaio a doppia trave della GSX-R 1000 e Rodolfo Frascoli, il designer a cui si deve questo ritorno al futuro, ha avuto il suo bel daffare per far andar d’accordo due ere motociclistiche così distanti. Ma il risultato è che quel disegno, che ai tempi era più sacrilego che rivoluzionario, oggi grazie alla matita italiana è tornato attualissimo. Cupolino, serbatoio e sella sembrano ancora galleggiare sulle ruote. Merito anche di questo codone futuribile, che sa tanto di salto nell’iperspazio. 

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PRONTI, PARTENZA… CODA. È venerdì pomeriggio, il primo dopo che l’Italia è tornata zona bianca. Tutti hanno voglia di mare, monti, insomma di andarsene fuori dai balconi. E lo capisco appena entro in autostrada. Sto per spalancare il gas e… tutti fermi. E così, la prima cosa che apprezzo – purtroppo – non è la cavalleria, ma il manubrio alto. Che aiuta a sfilare tra le macchine ferme senza temere di sgomitare con gli specchietti altrui (oltre che permettere una posizione di guida sportiva, vero, ma non estrema: la schiena è dritta. E già che ci siamo, pure le ginocchia non sono troppo piegate). La sella sembra dura, ma 200 chilometri dopo non dà ancora fastidio, quindi forse non lo è davvero. Meglio così. L’acceleratore è sensibile, molto sensibile anzi. Il che vuol dire che il manico si nota più quando cerchi di andare con un filo di gas senza tartagliare che se apri tutto. Non sei un uomo di polso (preciso)? Scala una marcia, dimentica il sottocoppia e hai risolto il problema. Da sapere: la vera verità è che è proprio a queste andature che capisci l’alchimia del sistema Low RPM, il genio elettronico che fa di tutto per arrotondare il motore ai bassi giri, evitando che ti si spenga a ogni metro. Poi a un certo punto la coda sparisce e la velocità diventa finalmente autostradale. E si comincia ad apprezzare il doppio cupolino di questa versione Jindachi che, nonostante il look minimal, fa benissimo il proprio lavoro. Io sono alto 1,74 e l’aria la sento solo sulla punta del casco. Dove tra l’altro arriva tesa e non vorticosamente.

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PRENDERE LA KATANA DALLA PARTE DEL MANICO. Questo 1000 cc, quattro cilindri, 16 valvole è il grande classico di Casa Suzuki (per la cronaca, è quello della GSX-R 1000 K5). È merito suo se la Katana è quella bestia insaziabile che è: i suoi 149 cv (quasi 150) non finiscono mai di spingere. O di allungare, se preferisci. Te ne rendi conto alla prima corsia di accelerazione, quando spari dentro le marce come una mitraglia. E pure quando ti immetti in autostrada e ti tocca dire “ops”, chiudendo il gas per andare col traffico. La Katana Jindachi viene fornita con colonna sonora firmata Akrapovič (scarico in 4-2-1), che andrebbe impostata come sveglia del lunedì, tanto per darsi la carica per la settimana. Se cerchi andature sopra i 6000 giri sappi che le vibrazioni al manubrio diventano subito anestetizzanti. Ma stai tranquillo, sto già parlando di velocità da autobahn tedesca. Comunque ricordati che non è solo un motore da sparo, questo. È anche un ottimo compagno di gite, anche in due. Ammesso che tu riesca a trovare la pollastra da appollaiare sul sellino dietro (ristretto e senza appigli, a parte una cinghia di bellezza). Però consolati, che se torni single nel giro di un weekend non ti tocca manco regolare le pressioni delle gomme, che tanto sono sempre le stesse. Perché la Katana ha una mentalità aperta e non si scompone minimamente per la tua vita di coppia altalenante. Comunque anche se al motore la potenza non manca, quello che apprezzi è la docilità che riesci a tirar fuori grazie ai 108 Nm di coppia (la massima arriva a 9500 giri). Certo in due il baricentro si alza (e arretra), ma se sei un appassionato di quattro in linea sai già cosa ti aspetta. Aggiungici poi il terzo incomodo, la gomma posteriore da 190/50 (il cerchio è da 17″). Una bella sleppa di pneumatico che dà grandi soddisfazioni in pista (mi dicono), ma su strade, magari strette e alpine, diventa un po’ più difficile da far scendere in piega. Se sei uno schilometratore, c’è un’altra cosa che devi tener presente: nel serbatoio ci stanno solo 12 litri. Cioè abbastanza per 200 chilometri tra un distributore e l’altro. Per qualcuno è un limite. La verità è che ti sfido a fare così tanta strada in montagna senza aver voglia di un caffè o di un bel selfie molto prima dello scadere dell’ultima goccia di benzina. Morale: è una cosa con cui si può benissimo convivere. Frizione e acceleratore sono comandati dal filo, come ti aspetti da una moto in qualche modo vintage. Il telaio è rigido, se pieghi deciso la moto ti segue, e sta lì. Il vero problema è che per parlare di piega bisogna pensare almeno a robe come le autostrade, del resto l’affilatissima Katana è una lama con un interasse di 1460mm (e una lunghezza di 2130). Ennesima morale: adora quando accentui le traiettorie. Stai tranquillo, trattandosi di una moto moderna qualche tecnologia te la ritrovi anche qui. Come l’ABS o il controllo di trazione (a tre livelli, oltre che totalmente disinseribile). I due dischi davanti (un paio di pizze battute Brembo da 310mm) sanno quello che vogliono e lo ottengono sempre. La leva è graduale il giusto e il suo compito è quello di non farti gli sgambetti, soprattutto all’inizio. Quindi se la pinzi leggermente ottieni poco o niente. Basta essere più decisi e allora tutto si ferma come per incanto. Alla lunga questo scrupolo ti sembrerà superfluo, ma nel pronti via è questo il trucco che ti ha permesso di prendere la confidenza che avrai. 

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GUARDA QUI. In tutte le cose ci sono sempre dei dettagli che saltano subito agli occhi. E poi ce ne sono altri che scopri al bar con gli amici, quando girando intorno alle moto uno dice “guarda qui”. E ti fa scoprire finezze che tu rispondi “ma pensa te”. Eccoti una lista per non farti beccare in castagna. Cruscotto: molto compatto, è uno schermo LCD che si ispira alla strumentazione della Katana che fu, quella in cui tachimetro e contagiri stavano sotto lo stesso vetro. In questo caso hai una manciata di informazioni digitali in più. Compreso l’indicatore del controllo di trazione, della benzina e, novità delle novità, della temperatura del liquido di raffreddamento (già perché la prima Katana aveva I cilindri ancora al vento). Leggibilissimo di notte, di giorno, diventa più che altro intuibile. Manubrio: nero opaco come piace a noi, e pure alto. Ma adesso guarda il blocchetto di destra, e trovi il comando per le 4 frecce. Sempre più utile… Sella: in questa versione è bicolore. Sotto nasconde i ganci per i caschi e gli appigli per il carico. A proposito, l’Oscar per la trovata va agli uncini/battitacco delle pedane del passeggero. Due funzioni fondamentali in un pezzo solo. 

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SE DEVE SUCCEDERE, SUCCEDE. Adesso ti dico una cosa che deve rimanere tra me e te. Ma voglio essere onesto fino in fondo anche se ci faccio la figura del pisquano. La mattina che sto per riconsegnare la Katana, scendo in garage, faccio i vari preparativi e la spingo fuori, pronto per andare… per terra. Morale, mi scivola un piede e perdo l’equilibrio. Nonostante non sia Hulk, non la lascio andare, non posso. Non voglio. E non potendo fare il miracolo di tenerla su (215 chili fuori controllo sono persi), la accompagno. Già mi immagino leve spezzate, frecce in frantumi, cuori infranti. Invece niente di tutto questo (a parte il cuore). E così scopro che la Katana è un po’ la Chuck Norris delle moto, e l’unica cosa che si è segnata (poco, come vedi nella fotoricordo che da allora tengo sul comodino) è il carter con scritto Suzuki. Te lo racconto perché alla fine anche questa è una prova (involontaria). Ma ti chiedo un favore: non dire in giro che mi è caduta da ferma. Perché a quelli di Suzuki ho detto che ho toccato sotto piegando… 

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ALLA FINE DELLA FIERA. 801 chilometri, 500 in autostrada, il resto su e giù dalle montagne. Come la Katana originale piacerà ai manici (ma qui c’è più sostanza, soprattutto ciclistica) che però non vogliono una supersportiva (leggi: moto scomoda in città), né la classica nuda dal fascino annacquato. La prendi e potresti essere quello con la moto più originale della compagnia. Sconsigliata ai piegaioli che sono abituati a scendere facile. Qui bisogna studiare. Per la gioia di mamma e papà. 

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