La Porsche 911. E la febbre del sabato sera

La Porsche 911. E la febbre del sabato sera

Sabato sera succedono sempre due cose. La gente va in giro. E le zone industriali diventano deserte, per fortuna. Non so perché, ma è così. Pensa che l’ho scoperto per caso, una volta. Non chiedermi come. Da allora, quando voglio star solo con lei, qualsiasi lei sia, vado lì. Questa volta “lei” era una bella tedescona. La Carrera S, l’ultima Porsche 911. Perché? Perché di sì. Ma visto che sei tu ti meriti anche una spiegazione. Eccola.

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Veloce, velocissima. La verità è che appena me l’hanno data mi sono fiondato in montagna. Per vedere l’effetto che facevano 450 cavalli, due turbo e sei cilindri boxer di 2981 cc. Ma purtroppo me ne hanno fatto uno strano: a metà tra la frustrazione e l’amaro in bocca. Potrei girarci intorno, potrei cominciare col dirti che un inserimento in curva così non è roba di questo mondo (soprattutto pensando a dove porta il motore) o che il volante ha una gran voglia di raccontarti tutte le cose che sa sull’asfalto o che puoi dar fiato alle trombe anche in modalità di guida non esasperate, ma la verità è che va troppo forte. Fine della storia. La Carrera che conoscevo è quella che ti accompagnava al lavoro durante la settimana e tra passi e tornanti nei weekend. E ti faceva sorridere in entrambi i casi. Questa no: va talmente veloce che il solo pensiero di averla usata al 35 per cento ti demoralizza. Forse anche meno. E non solo perché ci tieni alla patente o alla vita o a tutta una serie di cose così. Ma perché capisci subito che per godertela davvero, la devi portare in pista. Ma il mio problema è che soffro di una rara allergia alla monotonia delle guidate in stile Polistil. E così non mi restava che aspettare sabato sera.

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La sera tardi. Siamo usciti alle 23. E quando siamo arrivato davanti a quel capannone col faro puntato sull’ingresso ho capito che era il posto giusto: un palcoscenico con tanto di riflettori per godersi lo spettacolo di questa coupé che va in onda dagli anni ’60. Già, perché la rivoluzione evolutiva della 911 è sempre affascinante. Qualsiasi sia il risultato finale, con le cromature delle origini come pure coi soffietti dei paraurti degli anni ’80 o i fascioni del decennio successivo. In questo caso le linee sono dolci, pulite. Evidenziano i fianchi larghi di quel contenitore di trippa per gatti che è il posteriore. Ancora una volta, la Porsche ha giocato con gli equilibri, le proporzioni. E il solito, apprezzatissimo, déjà vu. C’è quella griglia che si ispira alle raffreddate ad aria (ma che in realtà è un cofano che nasconde giusto un paio di tappi per i rabbocchi). E poi quel fanalone, quella specie di spada laser che attraversa la coda, a metà tra l’insegna di un diner americano in stile James Dean e il Millennium Falcon di Star Wars. E non è un caso. Questo perché le Porsche, oggi più che mai, le comprano proprio quelli che da bambini hanno usato la forza, Luke. Lo sanno designer e geni del marketing. I fanali tondi, le maniglie a scomparsa, quei vetri posteriori che girano così da sempre. Insomma, è sempre lei. Per fortuna.

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Give me five. Almeno fuori. Perché dentro non lo è quasi per niente. I tempi delle plance lineari con cruscotti a cinque elementi tondi sono andati per sempre. Certo, un bravo venditore ti dirà che sono ancora cinque e anche se sono digitali (a parte il contagiri analogico) non è cambiato niente. Bene. Siediti davanti a quel volante cicciotto a tre razze e dimmi se riesci a vedere i due schermi laterali (che volendo replicano il navigatore…). Ah, già che ci sei poi, magari tu riesci anche a capire perché quasi per ogni strumento hanno usato un carattere diverso. Troppa tecnologia fa male: soprattutto in fase di progettazione. Il risultato è un cruscotto con l’eleganza di una pagina web di un giornale di gossip. Gli strapuntini dietro continuano a essere un ottimo posto per i bagagli in più piuttosto che per i passeggeri extra (bene così perché quel ronfo del boxer lo puoi giusto condividere con l’anima gemella e fine). L’accensione è sempre a sinistra dello sterzo, come ti aspetti, ma adesso c’è un manettino di plastica che fa un po’ lavatrice. E poi quella levetta al posto del cambio… La domanda che mi faccio non è: “piacerà?”, ma “a chi?”.

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Faccio un appello all’UNESCO, occhio che anche se non ve ne siete ancora accorti, la 911, come il Rolex Submariner, l’Aquarama della Riva, la Vespa… o la bottiglia della Coca Cola sono patrimoni dell’umanità da proteggere. Secondo me qualcuno dovrebbe dirlo a quelli di Stoccarda che i creativi vanno messi a fare i progetti nuovi. Per queste cose ci vogliono i riflessivi. Che non sono né antiquari, né restauratori. E adesso mi dirai, ok, ma come va? Troppo bene (e forte) per potertelo dire con una prova su strada. Serviranno altre prese di contatto, altri momenti di solitudine con lei. Vi terremo aggiornati…

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