Il metodo Elon Musk

Per capire da dove venga la Tesla, bisognerebbe fare le valigie e partire alla volta della Silicon Valley. Ma quella di fine Anni 2000. È allora che questa terra circondata da qualcosa che è più Far (lontano) che West (occidente), stava venendo fuori da un periodo strano della storia americana più recente. L’era di Bush figlio era agli sgoccioli, e lo slogan sulla bocca di tutti ormai era diventato il ‘Yes We Can’. Cioè quello del candidato democratico, Obama. Lo stato della California, perché la Silicon Valley è un distretto produttivo tra San Francisco e San Jose, era pronto per tornare alla carica. Come se Adobe, Google, Apple, Instagram, Intel e HP non fossero già abbastanza c’era qualcos’altro che bolliva in pentola: Tesla. Il primo gadget tecnologico a forma di macchina non poteva che nascere qui. E grazie a un outsider come Elon Musk. Perché per sovvertire l’automobile precostituita bisognava respirare questo vento del Pacifico. Che dentro aveva ancora il profumo di Jobs, l’uomo della mela che reinventò il telefonino. 

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PER FORTUNA CHE C’È QUESTO LIBRO. Insomma, sarebbe stato bello esserci stati, da quelle parti. In quegli anni lì. Io c’ero. Ma magari c’eri anche tu. O magari no. In questo caso allora ringrazia Michael Valentin che ti ci riporta. Con questo libro che è un diorama, sai una di quelle cose che sembrano plastici dei trenini e ti fanno vedere come funziona un formicaio o cose così. Il metodo Elon Musk, il modello di business e i principi del successo di Tesla Motors. E se già ti sembra esplicativo questo sommario qui, aspetta di vedere com’è quello originale in francese. Du toyotisme au teslisme: la disruption d’Elon Musk. Cioè: dal sistema Toyota a quello Tesla, bla bla bla. Misteriosamente affascinante. Anche perché in Italia questa cosa del toyotismo non è mai stata capita davvero. Sì perché il successo degli Anni ’90 del marchio giapponese negli Stati Uniti, non è stato merito di auto rivoluzionarie. Né per contenuti, né per estetica. Perché in Toyota avevano capito una cosa ancora più importante: che la macchina, per una casa auto, è solo la punta dell’iceberg. Per farla affiorare dalle acque ci vuole molta sostanza che la tenga a galla… Marchionne, quando si portò a casa quello scatolone di sabbia che era Chrysler, aveva in mente la stessa cosa. Infatti non puntava ai rottami di Auburn Hills, il nostro maglioncino internazionale, ma alle sue concessionarie sparpagliate negli States. 

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L’ASSASSINO È IL MAGGIORDOMO. Ma adesso non ti puoi aspettare che ti sveli gli arcani delle analisi di Valentin, perché sarebbe un po’ come dirti chi ha ucciso chi in un giallo. O come va a finire il Granpremio che stai guardando in differita. Quello che posso dirti però, è che dentro non troverai alesaggi, corse, passi e interassi di tutti i modelli Tesla. E non solo perché nelle auto elettriche i primi due dati non esistono. Ma perché questo è un saggio sul metodo, appunto, quindi sulla visione, su quello che c’è alla base di ogni start-up degna di questo nome e di come, l’inventore di PayPal, abbia usato quel pensare fuori dagli schemi per innescare il ‘dent’. L’inceppo nell’ingranaggio, la coda imprevista che ti fa cercare una strada alternativa. Per arrivare a destinazione e dire ‘ce l’ho fatta’. E allora aspettati carotaggi su flussi a stella, ibridazione software e design thinking. Capirai che social vuol dire business e che il successo non bacia i geni. Ma quelli sudati fradici, come diceva già Thomas Edison: 1 percento ispirazione, 99 percento perspirazione. Ah sì, e poi c’è un’altra cosa che ti posso dire. Dopo aver letto questo libro non sarai più capace di guardare una Tesla e vederci solo una macchina. Promesso. 

Michaël Valentin
Hoepli
Prezzo: 22,90 euro

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Un commento su “Il metodo Elon Musk”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    “Marchionne, quando si portò a casa quello scatolone di sabbia che era Chrysler, aveva in mente la stessa cosa. Infatti non puntava ai rottami di Auburn Hills, il nostro maglioncino internazionale, ma alle sue concessionarie sparpagliate negli States. “

    Quello fu l’errore più grave di Sergio Marchionne.

    Nel gennaio del 2009 senza spendere un euro, Fiat firma un accordo preliminare e non vincolante per acquistare il 35% del terzo costruttore di Detroit, Chrysler che all’epoca era detenuto per il 19,9% da Daimler e per il restante 80,1% dal fondo d’investimento statunitense Cerberus Capital Management.

    A gennaio 2009, al Detroit Auto Show, Chrysler promise 500.000 veicoli elettrici sulla strada entro il 2013, comprese auto sportive e truck.

    Ad agosto 2009, Chrysler ricevette 70 milioni di dollari in sovvenzioni dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti per sviluppare una flotta di prova di 220 pickup e minivan ibridi, veicoli poi demoliti nel piano di risanamento per Chrysler di Sergio Marchionne. Stessa fine fece il team interno di ingegneri per lo sviluppo di auto elettriche.

    Dodge Circuit era il primo risultato, un’auto sportiva a due posti completamente elettrica che gli ingegneri Chrysler avevano realizzato utilizzando una piattaforma Lotus.

    Cerberus Capital Management che controllava Chrysler prima della venuta di Marchionne aveva creato alla fine del 2007 una divisione speciale di ingegneri chiamata “Envi” – derivata da Environment – per guidare lo sviluppo della tecnologia elettrica.

    Envi secondo disposizioni dei dirigenti di Chrysler operava con la velocità di una start-up sostenuta da capitali di rischio, una strategia necessaria per comprimere i tempi e il ciclo di sviluppo tecnico tipico delle case automobilistiche.

    Cosa ricorda?

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