L’Alfetta compie 50 anni

L’Alfetta compie 50 anni

Pochi esemplari sopravvissuti. Mezzo secolo fa debuttava l’Alfa Romeo Alfetta la berlina di Arese destinata a portare il marchio del Biscione nell’era moderna, tra alti e bassi: la nuova tre volumi passerà alla storia per il comportamento su strada sopraffino, ma anche per le finiture a dir poco migliorabili. Come tutte le Alfa Romeo del Dopoguerra la sua gestazione, la sua produzione e il suo sviluppo saranno perennemente condizionati dalla politica, che le impose meccaniche meno performanti per ridurre il consumo, senza curarsi di elevare il livello qualitativo e la protezione della ruggine al livello della migliore concorrenza europea.

Quest’ultimo problema ha condizionato notevolmente il numero di esemplari sopravvissuti, specie se si considerano solo quelli in ottime condizioni di conservazione, per i quali i collezionisti sono disposti a spendere anche 15-18.000 euro nel caso delle Alfetta della primissima generazione, quelle con lo scudetto stretto. Andiamo però a conoscerne meglio le fasi che hanno portato alla sua nascita e allo sviluppo delle tre generazioni susseguitesi dal 1972 al 1984, quando debuttò l’Alfa 90, migliore da ogni punto di vista ma meno amata.

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Si inserisce tra altre due berline. Anche se la presentazione alla stampa e al pubblico risale al 1972, lo sviluppo del nuovo modello Alfa Romeo di fascia medio-superiore prende il via alla fine degli Anni 60. La novità del Biscione è destinata a inserirsi tra la Giulia e la 2000 (nata da un aggiornamento estetico e tecnico della 1750) in una gamma contraddistinta da modelli disponibili esclusivamente con carrozzeria berlina a 3 volumi e 4 porte, quando alcune marche rivali, anche nell’alto-di-gamma come la Volvo, da decenni declinavano l’offerta in quello che corrisponde all’attuale segmento D in più varianti di carrozzeria: berlina a 2 e 4 porte e station wagon.

Identificata con la sigla di progetto 116, la novità del Biscione nacque con le forme modellate dal Centro Stile interno guidato da Giuseppe Scarnati, che disegnò così una vettura intermedia tra la 2000 e la Giulia, pronta a sostituire il primo modello che avesse perso troppo terreno sul mercato. In realtà, le tre berline si trovarono a condividere la presenza sul mercato fino al 1977, peraltro senza ostacolarsi troppo. Linee tese e spigolose e una particolare attenzione allo spazio interno, per vestire uno schema tradizionale e prestigioso da berlina sportiva, settore in cui le Alfa Romeo, all’epoca, erano considerate all’avanguardia, caratterizzavano la 4 porte del Portello (in realtà ormai di Arese).

Il nuovo modello si dimostrò subito di ottimo livello, sia per estetica, sia per prestazioni, ma le polemiche infuriarono ugualmente, dividendo gli Alfisti. Infatti, pur guadagnando enormemente in tenuta di strada e stabilità, a causa dei più complessi leveraggi di comando del cambio, l’Alfetta aveva perduto parzialmente la dolcezza d’innesto dei rapporti, rispetto ai modelli precedenti a causa dello schema tecnico transaxle scelto per la trasmissione, con il cambio in blocco al differenziale così da ottimizzare la ripartizione dei pesi.

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Presentazione ritardata di 8 mesi. La nuova Alfa Romeo Alfetta avrebbe dovuto essere la vedette del Salone dell’Automobile di Torino dell’ottobre del 1971 e già in agosto ne erano state diffuse le caratteristiche tecniche alla stampa specializzata. Tuttavia, la scelta di offrirle un maggior risalto alla contemporanea Alfasud, il timore di oscurare la 2000 e una serie di scioperi nella fabbrica di Arese fecero slittare la presentazione di oltre 6 mesi, fino al 17 maggio 1972, quando a Trieste la stampa specializzata si trovò di fronte a una delle Alfa Romeo più innovative del Dopoguerra. Essa infatti, pur rispondendo a tutti i canoni tipici del marchio, rappresentava un deciso passo avanti rispetto ai modelli precedenti. La sua linea, che avrebbe ispirato a lungo l’evoluzione della gamma, segnò un punto di rottura con il precedente stile Alfa Romeo, come stanno a testimoniare i 12 anni di presenza ininterrotta sul mercato (con due restyling), fino al 1984, quando venne sostituita dall’Alfa 90.

La linea dell’Alfetta è squadrata, scevra da venature e pieghe, moderna per l’epoca ma classicizzata dal frontale tipicamente Alfa Romeo con i doppi fari tondi in cornici cromate e lo scudetto in posizione centrale. Guardavano alla tradizione i paraurti a lama in acciaio Inox, le tre barre cromate sulla calandra e le maniglie delle portiere. Così se la parte anteriore era bassa, raccolta e relativamente slanciata, la parte posteriore presentava la novità più evidente: la coda alta che, oltre a garantire vantaggi sul piano aerodinamico, offriva un volume utile del bagagliaio quasi da record per la categoria.

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Ispirata dalle formula 1 di inizio anni 50. Il 17 maggio 1972, a Trieste, si alzano finalmente i veli sulla nuova Alfa Romeo Alfetta: il nome evoca i successi i Formula 1 di inizio anni Cinquanta delle 158 e 159, soprannominate affettuosamente “Alfetta”. Il motore è un’evoluzione del 1750, con collettori di scarico e della coppa dell’olio riprogettati per elevare la potenza a 122 CV, abbinato a un cambio a 5 marce in blocco con il differenziale. L’alimentazione è fornita da due carburatori orizzontali doppio corpo Weber 40 DCOE/32 riforniti di carburante dalla pompa meccanica. Vennero allestite anche vetture destinate al mercato USA provviste d’iniezione meccanica Spica. Al debutto costa 2.441.600 lire, cui occorre aggiungere 26.880 lire per l’interno in Texalfa, 19.040 per il lunotto termico, 16.240 lire per gli appoggiatesta regolabili e 106.400 lire per la verniciatura metallizzata, unici accessori disponibili. Prezzo competitivo, certo, ma a fronte di finiture approssimative e non esenti da difetti di lavorazione e caratterizzate da materiali di scarsa qualità. L’Alfetta si faceva perdonare tutto o quasi su strada, con un comportamento dinamico da “prima della classe” grazie alle sospensioni a ruote indipendenti, con ponte De Dion, e ai freni a disco sulle 4 ruote con comando idraulico a doppio circuito, servofreno a depressione e limitatore di frenata al retrotreno.

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Spaziosa e confortevole. All’interno non ci si era discostati dalla tradizionale formula Alfa Romeo. La plancia con il monogramma “Alfetta” in corsivo e gli inserti tipo legno era completata da un quadro strumenti molto fornito e soprattutto ben leggibile che comprendeva, oltre al tachimetro e al contagiri, gli indicatori di livello carburante, temperatura acqua e pressione lubrificante oltre a una completa dotazione di spie. Il posto guida, ben realizzato, favoriva la guida a braccia distese e prevedeva anche la regolazione in altezza del volante. L’abitacolo era nel complesso accogliente e spazioso; l’assenza del cambio all’uscita del motore infatti aveva permesso di snellire abbastanza la parte anteriore del tunnel centrale tanto da offrire una notevole sensazione di spazio ai posti anteriori. Quelli posteriori pur disponendo invece di molto spazio in senso longitudinale erano inficiati dall’ingombrante presenza del cambio posteriore che aveva costretto i progettisti dell’Alfa Romeo a gonfiare il tunnel centrale tanto da compromettere il comfort del passeggero posteriore seduto al centro.

Il portabagagli dell’Alfa Romeo Alfetta seppur di generose dimensioni non era sfruttabile a pieno per via della soglia di carico molto alta che poteva costringere a fastidiosi sollevamenti e tendeva ad aumentare il pericolo di danneggiare la carrozzeria negli usi più intensi. Sotto il piano di carico trovavano posto la ruota di scorta e il serbatoio carburante di 50 litri. L’ampia vetratura garantiva una buona visuale in ogni direzione e solo in retromarcia la coda spiovente necessitava di una buona dose di pratica prima di poterne valutare correttamente l’ingombro.

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Da modello a gamma. Nel 1975, in piena crisi petrolifera, venne presentata la versione semplificata dell’Alfetta, che montava un’unità da 1570 cc e 109 CV derivata da quella della Nuova Super 1600. Esternamente la vettura era facilmente riconoscibile per la presenza di una sola coppia di fari sul frontale e per l’allestimento interno più economico. Il comportamento su strada delle due vetture era molto simile. A risentire della diminuzione di potenza erano soprattutto le doti di ripresa da bassa velocità nelle marce più alte. Il presunto beneficio in termini di consumo invece veniva vanificato dalla necessità di mantenere regimi elevati per ottenere un comportamento brillante.
Contemporaneamente l’Alfetta 1.8 subì qualche lieve ritocco estetico facilmente individuabile nello scudetto Alfa ora più largo. Il suo motore invece subì una riduzione di potenza che lo riportò a 118 CV. Nel frattempo le versioni 1.6 e 1.8 vennero unificate negli allestimenti e nell’aspetto, mentre nel 1979 la versione 1.8 riacquistò gli originari 122 CV di potenza massima ma a 5300 giri/min anziché a 5600 giri.

Il primo restyling risale al novembre del 1981 e prevede un allineamento estetico di tutta la gamma alle forme dell’Alfetta 2000, con frontale allungato e fari rettangolari, mentre nel 1983 arriva un secondo aggiornamento estetico più marcato, con ampie sovrastrutture in plastica e frontale a 4 fari per l’Alfetta Quadrifoglio Oro. Dopo 475.819 esemplari prodotti l’Alfetta uscì di scena a fine 1984 con il debutto dell’Alfa 90 che non ebbe lo stesso successo della progenitrice pur somigliandole.

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Le versioni da comprare. I collezionisti adorano tutte le Alfetta: anche se le più quotate sono le coupé a 3 porte GT e GTV 2000, con particolare riferimento alla GTV Turbodelta, le berline godono oggi di parecchio interesse, anche sui mercati internazionali, Germania, Austria e Svizzera soprattutto, dove gli Alfisti non mancano. Le prime Alfetta con scudetto stretto sono le più quotate, ma anche l’Alfetta 2000 e ancor più l’Alfetta 2.0 Li America, la versione alimentata a iniezione destinata al mercato europeo, esteticamente ispirata agli esemplari venduti negli USA, sono le più ricercate, per le quali l’investimento richiesto oggi è tra i 15.000 e i 20.000 euro nel caso di vetture in perfetto stato, senza ruggine. Un graduale aumento delle sovrastrutture in plastica caratterizzerà la seconda e, in misura maggiore, la terza serie. Con l’allestimento Quadrifoglio Oro, riservato al motore 2 litri, l’Alfetta raggiunse il vertice quanto a finiture ed equipaggiamento. Ancora sotto i radar, sono le Quadrifoglio Oro dell’ultima serie le Alfetta su cui puntare per ottenere profitto a corto termine.

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