Cara Alfa Romeo, per il 2026 ti auguriamo un’altra Alfa 75

Cara Alfa Romeo, per il 2026 ti auguriamo un’altra Alfa 75

Per un paio di giorni ancora, è quarantenne. Una quarantenne che, a onor del vero, le sue quaranta primavere le dimostra tutte. Nata quasi “d’epoca” nel 1985, l’Alfa Romeo 75 sotto quel “vestito” tutto grinta e spigoli abilmente cucito nelle stanze del centro stile diretto da Ermanno Cressoni nascondeva infatti una meccanica concepita quasi quindici anni prima: quella, raffinatissima per l’epoca, dell’Alfetta, con sotto il cofano il mitico quattro cilindri a carburatori con distribuzione bialbero a camme in testa e, montati in un unico blocco al retrotreno, la frizione, il cambio e il differenziale.

Sopra, l’Alfa Romeo 75; sotto, l’Alfetta di cui sfrutta la raffinata meccanica

Sopra, l’Alfa Romeo 75; sotto, l’Alfetta di cui sfrutta la raffinata meccanica

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L’ULTIMA VERA ALFA? L’Alfa Romeo 75, per usare un eufemismo, non era un’auto al passo coi tempi, quando uscì dai cancelli della fabbrica di Arese. E a scriverlo, meglio precisarlo, è un’alfista sfegatato che l’Alfa 75, per ragioni “filosofiche”, la rimpiange e non poco (ci arriveremo tra poco). Il cambio dell’Alfa 75 non era facile da manovrare e lo sterzo era pesante in tempi in cui le migliori rivali vantavano comandi precisi e morbidi da azionare. Eppure, quell’auto anni ’70 fuorché nella carrozzeria, che gridava anni ’80 da ogni angolo, appagava nella guida anche gli automobilisti più esigenti. Nel bene e nel male, era un’Alfa al 100%: veloce, stabile, sicura, con un rombo accattivante. In una parola, era una macchina coinvolgente. Non a caso, per gli alfisti della corrente più “intransigente” – quella, per intenderci, che nel passaggio dell’azienda dallo Stato al gruppo Fiat vede una ferita insanabile – l’Alfa Romeo 75 è l’ultima vera Alfa.

Alfa Romeo 156

Alfa Romeo 156

POCHE STELLE IN UNA LUNGA NOTTE BUIA. In questa posizione, però, c’è una faziosità che oggi non ha più senso di esistere. Forse gli appassionati farebbero meglio a smettere i panni dei “tifosi”, a destrutturare il mito alfista, contestualizzandolo in un’epoca che è stata effettivamente mitica e accettando che il tempo ha cambiato le cose. In peggio? La risposta è sì, se guardiamo agli ultimi quarant’anni di cammino del Biscione, nel quale sulla via si sono ammonticchiati più flop e delusioni che auto memorabili. La 156 e la 147, tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000, hanno saputo ridare all’Alfa quell’immagine di sportività che nei dieci anni prima era rimasta confinata nei circuiti, alimentata dal grande trionfo nel Campionato turismo tedesco del 1992. Ma ci è voluto un altro decennio buono per rivedere due Alfa Romeo capaci di fare la differenza su strada, la Giulia e la Stelvio, che però, purtroppo, non hanno avuto il successo di vendite che pure avrebbero meritato.

Alfa Romeo 147

Alfa Romeo 147

SERVE CAMBIARE MARCIA. E oggi? La Giulia e la Stelvio rimarranno in produzione fino al 2027. Tuttavia, benché costantemente aggiornate nelle tecnologie di bordo, affinate nello stile e sempre appaganti nella guida, avvertono comunque, e con inevitabile imbarazzo, il peso degli anni e di una concorrenza che nel frattempo ha compiuto passi da gigante. Quanto alle Junior e Tonale, beh, se si esclude la costosissima versione elettrica della prima, in entrambe le crossover persino gli alfisti più indulgenti faticano a individuare un barlume di sportività.

Sopra, l’Alfa Romeo Giulia; sotto, l’Alfa Romeo Stelvio

Sopra, l’Alfa Romeo Giulia; sotto, l’Alfa Romeo Stelvio

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UNO SGUARDO SUL FUTURO. Ecco, quindi, il nostro personale augurio all’Alfa Romeo per il 2026 e per i complicati anni che verranno: tornare a fare automobili che sappiano toccare le corde dell’emozione. Con una meccanica raffinata, con uno stile capace di durare nel tempo. Isomma, con tutte quelle caratteristiche che hanno reso grande e inimitabile per lungo tempo la casa del Biscione. Più grandi, grosse e pesanti delle auto che sostituiranno, difficilmente le nuove Giulia e Stelvio contribuiranno a riabilitare quell’immagine di sportività che negli ultimi quarant’anni si è tristemente erosa sull’altare della razionalizzazione dei costi e delle economie di scala che spesso prendono il sopravvento, quando una piccola realtà industriale finisce nelle mani di un colosso che guarda ai numeri, più che alle emozioni. Un futuro diverso sarà possibile? Vedremo, ma mettiamoci l’anima in pace: in tempi in cui a essere minacciata è la sopravvivenza stessa dell’industria dell’auto, e non una singola casa automobilistica, il gruppo Stellantis avrà altre priorità.

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