Drive to Survive 5. La F1 del 2022 arriva su Netflix

Drive to Survive 5. La F1 del 2022 arriva su Netflix

La quinta serie di Drive to Survive, dieci episodi romanzati dell’edizione 2022 del Mondiale, è arrivata su Netflix. Li abbiamo visti per voi, tutti d’un fiato, in italiano e in inglese, ossia nella lingua originale della serie, per raccontarvi il buono e il cattivo di quello che è ormai un appuntamento TV molto atteso dagli appassionati di tutto il mondo.

DA ASCOLTARE IN LINGUA ORIGINALE. Diciamo subito che, visto il mediocre livello del doppiaggio, è bene vedere Drive to Survive 5 in inglese, al più con sottotitoli in italiano se temete di non comprendere perfettamente lo slang di alcuni protagonisti. Oltre alla banalità della traduzione e della maggior parte dei team-radio, il doppiaggio sembra compiacersi di un linguaggio gratuitamente volgare, come avevamo del resto già segnalato l’anno scorso, il che non rende merito alla produzione televisiva americana. E diciamo anche che i primi fotogrammi, che mostrano Mattia Binotto, team-principal della Scuderia Ferrari, e Guenther Steiner, pari ruolo della Haas, su una vecchia Fiat 500 restaurata viaggiare tra i vigneti alto-atesini e compiacersi della produzione viti-vinicola di una tenuta ai piedi delle Dolomiti, lasciano ben sperare più di quanto sia il livello complessivo di Drive to Survive 5. Una produzione di fatto ufficiale FIA che vede la presenza delle troupe di Netflix in misura quasi ossessiva a tutti i Gran Premi con accessi pressoché illimitati a tutte le aree del paddock.

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HAAS OVUNQUE. Ossessiva è anche la presenza del team americano Haas, connazionale di Netflix. Il ritorno di Kevin Magnussen dopo l’appiedamento di Nikita Mazepin alla vigilia del primo Gran Premio del 2022, a seguito dell’attacco russo all’Ucraina (con conseguente perdita dello sponsor Uralkali), le vicende (e soprattutto gli incidenti) di Mick Schumacher, poi appiedato a favore del rientrante (nel 2023) Nico Huelkenberg, le preoccupazioni di Steiner, i suoi colloqui telefonici con Gene Haas, il misterioso (visto che non appare praticamente mai nelle sequenze video) proprietario del team che porta il suo nome. Una sovraesposizione, per il team nordamericano, ingiustificata dai risultati ottenuti nel campionato, a fronte della totale invisibilità delle squadre Williams e Sauber-Alfa Romeo (la cui monoposto è inquadrata praticamente solo in occasione dello spettacolare quanto incruento volo di Zhou al Gran Premio di Gran Bretagna) e del modesto minutaggio riservato alla Aston Martin, citata solo in occasione del discusso passaggio di Alonso dalla Alpine e del ritiro di Sebastian Vettel dalla Formula 1.

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LA QUERELLE DEL BUDGET-CAP. Tanto spazio invece alla vicenda del budget cap, che aveva rischiato di mettere in discussione i titoli 2021 di Max Verstappen e della Red Bull Racing, con l’assedio – anche mediatico – di Toto Wolff, Zak Brown e Mattia Binotto, speranzosi di una punizione esemplare per il team anglo-austriaco, per gli odiati “bibitari”, fino alla revoca del titolo piloti dell’olandese. Speranza rivelatasi poi vana, visto che il lieve sforamento del budget 2021 è stato punito con una sola ammenda, sia pure severa (7 milioni di dollari USA).

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HORNER È DIVENTATO CATTIVO? Riflettori accesi sulla RedBull Racing anche nelle sequenze dedicate allo stress che si respira costantemente nel team anglo-austriaco, con Christian Horner che eredita in questa stagione di Netflix il ruolo di “cattivo” precedentemente impersonato da Toto Wolff e del quale, con un flash-back mirato, hanno fatto le spese in passato Alex Albon e lo stesso Daniel Ricciardo, richiamato dai “bibitari” nel 2023 nel ruolo di terzo pilota e ambassador.

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IL MERCATO PILOTI È INFIAMMATO. Tra le querelle del “dietro le quinte” anche quella relativa all’ingaggio di Oscar Piastri, astro nascente tra le monoposto addestrative e campione di Formula 2. Per l’australiano si è messa in moto una contesa tra l’Alpine (di cui Piastri è stato test-driver nel 2022) e la McLaren, in cui è prevalsa quest’ultima, nell’urgenza di rimpiazzare Daniel Ricciardo, nei confronti della scuderia anglo-francese abbandonata invece da Fernando Alonso, sensibile al richiamo dei dollari di Lawrence Stroll, patron della Aston Martin. Alla Alpine approderà poi Pierre Gasly per una line-up di piloti tutta francese, dopo la deludente stagione 2022 della scuderia faentina Alpha Tauri. Nella sfida a colpi di carte bollate tra Alpine e McLaren le telecamere di Netflix indugiano – forse involontariamente – sulle “pancette” di Zak Brown e Otmar Sznafauer, i due team-principal meno in forma del circus…

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OMISSIONI DI PARTE. Gli episodi finali dedicati alle ultime gare della stagione, a titoli ormai assegnati a RedBull Racing e Max Verstappen, vedono quasi più attenzione al duello per il quarto posto tra McLaren e Alpine, trascurando il crescendo finale di Charles Leclerc e letteralmente tacendo il mancato gioco di squadra della RedBull che rinuncia a fare di Checo Perez il vice-campione del mondo, preferendo permettere all’olandese due volte iridato di rimpinguare i suoi successi nei Gran Premi fino ad arrivare al numero record di 15 e al record di punti in una stagione (454).

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ALFA E WILLIAMS DIMENTICATE. Una narrazione di parte e patriottica (USA) oltre ogni legittima misura, visto il minutaggio concesso alla Haas, quella di Drive to Survive 5, che ignora scientemente alcuni team (Williams e Sauber Alfa-Romeo) e taluni piloti (come l’ex vicecampione del mondo Valtteri Bottas) privilegiando altri protagonisti molto meno meritevoli, trasformando la serie in una narrazione molto parziale della stagione 2022 del Campionato di Formula 1 e, rispetto alle serie precedenti, presentandosi anche impoverita nel “dietro le quinte”, con una sola sequenza “quadretto di famiglia” con gli Horner in vacanza a commentare le vicende estive del mercato-piloti.

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DA VEDERE, MA CON LEGGEREZZA. Intrigante per l’episodico spettatore televisivo dei Gran Premi, che possono immergersi in tante situazioni che le telecronache non permettono di vedere o approfondire, Drive to Survive non convince, o peggio, delude l’appassionato più autentico e gli addetti ai lavori per la qualità della narrazione, sterile, e per la scelta dei temi degni di approfondimento, di certo non da mainstream.

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