Ferrari, il film: bene ma non benissimo

Prima di parlarvi del film di Michael Mann dedicato a Enzo Ferrari, devo fare una premessa: sono entrato in sala con un certo timore, poiché memore della visione di un’altra pellicola dedicata a un altro dei padri fondatori della Motor Valley, ovvero Ferruccio Lamborghini. Ecco, se del lungometraggio diretto da Bobby Moresco non si salva proprio niente, l’opera del suo connazionale è senza dubbio da vedere, a prescindere dalla passione per le auto e per il Cavallino Rampante.

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LE SFUMATURE. Ovviamente parliamo sempre di un regista statunitense che racconta una storia italiana, anzi emiliana, del Dopoguerra. Dunque, per quanto si sia potuto impegnare, non avrebbe mai potuto comprendere e gestire una serie di sfumature che fanno la differenza. Anche il fatto che questo sia un film per il mercato internazionale fa sì che i dialoghi siano fuori dal loro tempo e che abbiano anche uno stile troppo americano. 

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MEGLIO CASTELLITTO. Insomma, se volete avere un’idea migliore su chi fosse Enzo Ferrari farete meglio a guardare la miniserie televisiva del 2003 con protagonista Sergio Castellitto. Il film Ferrari, invece, offre un ritratto del Drake in un periodo ben preciso: il 1957. È l’anno successivo alla scomparsa del figlio Dino e della tragedia di Guidizzolo, che decretò la fine della Mille Miglia come corsa di velocità. Secondo Mann è anche l’anno in cui la moglie di Ferrari, Laura Garello (interpretata da Penelope Cruz), scopre l’esistenza dell’altro figlio Piero.

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MENO DONNE, PIÙ AUTO. Le donne hanno un ruolo primario in questo film, forse anche troppo. A Laura Garello e a Lina Lardi – amante di Enzo Ferrari e padre di Piero – sono dedicate molte scene, così come alla madre del Drake di cui solitamente si parla poco o niente. Quello che invece manca in tutta l’opera è un po’ di sana vita di fabbrica e un po’ di narrazione tecnica sulle automobili. È arcinoto che Ferrari passasse la maggior parte del suo tempo nelle strutture dell’azienda e che intervenisse in prima persona su tante questioni, soprattutto in quegli anni.

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POCHE PAROLE. Dal film, invece, si ricava tutt’altro, come se la vita di Enzo fosse per la maggior parte divisa tra le case dove vivevano le sue due donne e il cimitero dove ogni mattina andava a trovare Dino. Il rapporto con i tecnici è narrato ai minimi termini e quello con i piloti in modo abbastanza superficiale. C’è un solo discorso degno di nota, durante un pranzo al ristorante il Cavallino, ma non è sufficiente per spiegare chi fosse e che cosa facesse Enzo Ferrari all’interno dell’impresa che porta il suo nome.

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TROPPO SOFTWARE. Per quanto riguarda le auto e le sequenze dinamiche, il film tutto sommato è promosso: molto belle le scene di guida con le Formula 1 in pista – danno la reale impressione di che cosa volesse dire guidare quelle monoposto – e molto fedele il rumore delle vetture. Solo le scene degli incidenti sono stonate, nel senso che si capisce immediatamente che sono completamente figlie del software e dunque poco realistiche. Insomma, bene ma non benissimo.

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