Il petrolio? Sembra essere al tramonto

Il petrolio? Sembra essere al tramonto

A segnalarlo è Le Monde, che non è giornale né scandalistico né allarmistico, in un ragionato e informato articolo che non lascia spazio a dubbi: il petrolio sta facendo dei gran passi indietro e peserà sempre meno sullo scenario internazionale. La previsione nasce dalla lettura dei conti 2020 delle cinque maggiori compagnie petrolifere mondiali che hanno fatto registrare perdite senza precedenti per 63,7 miliardi di euro soprattutto per la drastica contrazione dei consumi e per la guerra dei prezzi dovute alla pandemia, ma anche per l’avanzata dell’elettrico su base mondiale che apre scenari incerti per l’intero settore petrolifero. Se, infatti, piano piano consumi e prezzi si stanno riallineando, le compagnie petrolifere sentono il fiato sul collo della transizione energetica, che non solo gli sottrae quote di mercato, ma apre anche conflitti con gli stakeholder. Tanto che le maggiori compagnie petrolifere europee si stanno attrezzando per ampliare sempre più il loro modello di business, diversificando gli investimenti. 

Foto: Shell

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LO CHOC DELLA PANDEMIA. BP, Chevron, Exxon, Shell e Total – le big five del petrolio – nel 2019 avevano messo a segno profitti per oltre 40 miliardi di euro e il 2020 sembrava non destare tante preoccupazioni. Almeno fino a marzo quando il calo dei consumi ha iniziato a farsi sentire determinando la rottura del cartello tra l’Opec a trazione saudita e la Russia, con il conseguente crollo dei prezzi che è stata la vera mannaia che si è abbattuta sui profitti delle compagnie oil. A guardar bene, infatti, la domanda mondiale dopo un primo calo fino al 30 percento ha poi recuperato nel corso dell’anno, chiudendo con un -9 percento complessivoA scendere molto di più sono stati i prezzi: per un certo periodo i future per il petrolio americano sono diventati addirittura negativi, mentre un barile di brent del Mare del Nord, che è il punto di riferimento mondiale, è sceso a un minimo storico di 16 dollari. La ripresa della attività in Cina e la pace tra Russia e Opec hanno riportato i prezzi prima a 50 dollari al barile, fino ai 60 di gennaio 2021. Ma la ferita di queste oscillazioni resta. E ha determinato un netto taglio degli investimenti e importanti piani di contenimento dei costi, con numerosi licenziamenti come nel caso di Bp e Shell.

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INCERTEZZA SUL FUTURO. Soprattutto, si sta diffondendo nel settore sempre di più il timore che la domanda non tornerà rapidamente al suo livello pre-crisi. Si pensa che l’accelerazione del passaggio ai veicoli elettrici possa cambiare a medio termine non solo il mercato ma anche il rapporto con gli stakeholder, azionisti in prima fila che vogliono sì dei profitti, ma quanto più ecosostenibili possibile. Un bel dilemma che le timide decisioni in questo senso della Exxon, che non ha preso nessun impegno formale sulla riduzione dell’impatto delle sue attività, non possono bastare a superare. Ma mentre i gruppi americani continuano a dipendere fortemente dagli idrocarburi e sperano che l’aumento dei prezzi renda nuovamente competitivi i giacimenti di casa, le multinazionali europee stanno diversificando il proprio portafogli e investono sempre di più nell’elettricità e in fonti energetiche alternative come eolico e solare. Entro il 2021, Total prevede di investire almeno 2 miliardi di dollari nelle energie rinnovabili su 12 complessivi, mentre BP ha nel mirino impianti di energia eolica negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Ma è ancora troppo poco, non solo per centrare gli obiettivi di sostenibilità imposti in Europa dalla Ue ma anche per rendersi indipendenti dalle oscillazioni del prezzo del barile. Una sola cosa appare certa: nel medio periodo il petrolio è destinato a decadere dallo status di oro nero che ha avuto per oltre un secolo e già ora mostra di essere quanto meno parecchio impallidito.   

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