La Lancia Aurelia fa 70 anni, anche al Mauto

La Lancia Aurelia fa 70 anni, anche al Mauto

Icona del jet set, simbolo della Dolce Vita, regina della strada, star del cinema: al di là della cifra tecnica e stilistica del progetto, che ancora oggi stupisce per innovazione e raffinatezza, la Lancia Aurelia è il simbolo di un’epoca. Un ‘Mito senza tempo’ – come recita la locandina ufficiale – che il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino celebra con una mostra inaugurata lo scorso 30 gennaio e aperta fino al prossimo 3 maggio.

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UN VIAGGIO NELLA STORIA. La scommessa di Gianni Lancia, negli Anni ’50, è quella di sognare un futuro nelle corse; un territorio mai esplorato durante la gestione paterna. Il successo è quello di un’automobile straordinaria, che già dai primi disegni dei progettisti, si candida come degna erede di un’altra Lancia anticipatrice di tendenze, l’Aprilia. Per sfondo, la fotografia in bianco e nero di un paese che, dopo il Ventennio e i disastri della Seconda guerra mondiale, è costretto a ripartire da zero. E che proprio nello sviluppo industriale – e, in particolare, nel settore automobilistico – intravede una delle vie per la rinascita. Un quadro ben riassunto nella conferenza d’inaugurazione della mostra che ha visto intervenire sul palco dell’auditorium del museo torinese alcuni personaggi illustri dell’automobile italiana.

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DALLA MILLE MIGLIA AI FUMETTI. La direttrice del Mauto, Mariella Mengozzi, accoglie gli ospiti con un sorriso e tra le diciotto Aurelia, suddivise su due piani, gongola: “È una mostra che rende omaggio a un mito dell’automobile italiana. Moltissimi club Lancia da tutto il mondo ci hanno già contattati e verranno presto a trovarci”. Entusiasmo condiviso dal presidente del museo, Benedetto Camerana, che definisce l’Aurelia “ambasciatrice dell’eccellenza torinese nel mondo” e ne sottolinea l’aspetto più ispirazionale: “Forse non tutti lo sanno, ma l’Aurelia comparve anche ne Le avventure di Tintin, la celebre serie a fumetti belga di Hergé”. Un’automobile a suo agio tanto negli ambienti dell’alta società quanto nelle corse: bella, agile e scattante, l’Aurelia raccoglie successi in gare prestigiose come la Targa Florio, la 24 Ore di Le Mans e la Mille Miglia. Diventa, ancor prima di nascere, il manifesto della nuova Lancia, simbolo di un’élite di automobilisti in un’Italia che, lontana dal salutare il debutto delle Fiat 600 e 500, è un paese dove la maggior parte della popolazione si sposta ancora in bicicletta.

Luigi De Virgilio

LA PRIMA COL V6. Motivo d’orgoglio per Gianni Lancia e i suoi collaboratori, l’Aurelia è frutto dell’inventiva del progettista torinese Vittorio Jano, che approda in Lancia nel 1938 dopo una super carriera all’Alfa Romeo, e di Francesco De Virgilio, ingegnere reggino che alla Lancia ha legato l’intera vita professionale. Il ricordo di questo brillante tecnico calabrese, laureatosi al Politecnico di Torino e in forze alla casa torinese dal 1939 al 1975, è affidato al figlio Luigi, anche lui ingegnere. Di suo padre, De Virgilio conserva disegni e progetti, tra cui quello di un motore che, nel 1953, erogava 170 cv, una potenza che avrebbe permesso alla futura Flaminia di lottare ad armi pari persino con le velocissime Jaguar. Le origini di quello che sarà il primo motore V6 di serie al mondo risalgono addirittura al 1943, quando in seguito all’intensificarsi dei bombardamenti alleati su Torino l’ufficio tecnico della Lancia viene trasferito a Padova. “In quel periodo”, ricorda De Virgilio, “mio padre cominciò a esaminare un motore sei cilindri a V, che affascinava molto Jano ma aveva un difetto non trascurabile che ne impediva il brevetto: l’albero motore non era equilibrato. Ma mio padre non si arrese, studiò e mise a punto l’albero che in seguito sarebbe stato usato per l’Aurelia. Per quanto riguarda l’angolo tra le bancate, non ebbe mai dubbi sul valore di 60°, che sull’Aprilia non fu mai realizzato per mancanza di spazio”.

Leonardo Fioravanti

UN CAPOLAVORO DI STILE. Ad analizzare l’architettura e gli stilemi di un’auto considerata un simbolo dello stile e dell’abilità costruttiva di casa nostra è il responsabile di FCA Heritage, Roberto Giolito, designer di fama internazionale e ‘papà’, tra le altre, delle Fiat Multipla (1998) e 500 (2007). “La prima cosa che salta all’occhio studiando l’Aurelia”, fa notare Giolito, “è la parte laterale. A differenza delle coeve Fiat 1400 e Alfa Romeo 1900, che ispirandosi alla moda americana degli Anni ‘50 hanno le fiancate perpendicolari, l’Aurelia conserva, appena accennati, i parafanghi esterni dell’Aprilia”. Come l’antenata, prosegue Giolito, “anche l’Aurelia ripropone l’idea di goccia galleggiante, senza l’ingombro orizzontale del baule. Altro tratto distintivo è l’assenza del montante centrale, con l’apertura delle porte ad armadio”. Discorso a parte merita la sportiva B24 firmata da Pininfarina, archetipo di intere generazioni di spider all’italiana. Come su una scultura greca, “sull’Aurelia si è tolto materiale per arrivare all’essenza – spiega Giolito –: un processo che ha dato forma a un altro capolavoro di Pininfarina qual è la Giulietta Spider”. E proprio Paolo Pininfarina, presidente della celebre carrozzeria torinese, mette l’accento sulla versatilità della piattaforma su cui si basò l’ammiraglia di casa Lancia degli Anni ‘50: “Furono realizzati ben sedici progetti tra one-off, piccole e grandi serie”. Difetti? Secondo Pininfarina (nato nel 1958, quando l’Aurelia uscì di produzione, ndr), uno solo: “La carreggiata. L’ho sempre trovata un po’ stretta, anche se si adattava benissimo alla berlina, limitandone il peso. Fattore da non trascurare, vista la potenza non eccezionale dei motori”. L’ultimo aneddoto, inerente alla B24, lo regala l’ingegnere-designer Leonardo Fioravanti, che tra il 1964 e il 1989 ha lavorato per Pininfarina e Ferrari: “Osservate la forma dei paraurti anteriori… noi li avevamo soprannominati le manine”. Tempi in cui la distanza uomo-macchina veniva colmata solo dalla fantasia, e innamorarsi dell’automobile era più facile per tutti.

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