Lancia Delta, quarant’anni da star

Lancia Delta, quarant’anni da star

C’era una volta una macchina italiana che voleva conquistare il mondo. Potrebbe cominciare più o meno così la favola della Delta, il modello Lancia nato sotto l’ala della Fiat che nel 1979 fece irruzione in un segmento di mercato agguerrito e strategico per i costruttori generalisti europei, quello delle berline compatte a due volumi. Un settore in cui, all’alba degli anni 80, a fare la parte del leone era la Volkswagen Golf, e in cui nel 1978 la casa torinese aveva già scoperto la sua prima carta con la Ritmo.

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LA LANCIA DEL FUTURO. Il mese scorso, al Museo dell’Automobile di Torino, a raccontare i primi quarant’anni della Delta sono stati gli uomini che l’hanno accompagnata dal foglio bianco alla messa in produzione, dalle prime luci della ribalta alla consacrazione definitiva, prima sulle strade di tutti i giorni e poi su quelle dei grandi rally. Nella serata organizzata dal Gruppo Dirigenti Fiat sono intervenuti i principali protagonisti della Delta Story, un capitolo tra i più affascinanti nella recente storia industriale del nostro paese e del motorsport internazionale. Due ore di amarcord, immagini, filmati e racconti d’epoca in bilico tra storia e leggenda che, della Delta, hanno fornito una fotografia quanto mai allargata.

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MECCANICA RAFFINATA. Come ha spiegato l’ingegner Paolo Buffardi, nella nuova vettura i vertici di Fiat Auto riponevano notevoli aspettative. “L’ammiraglia Gamma era stata un flop e alla fine degli Anni ’70”, ha confidato il progettista torinese, entrato in Lancia nel 1977, “il successo dell’Autobianchi A112, da solo, non sarebbe bastato a risollevare le sorti dell’azienda”. Ma la Delta non avrebbe soltanto dovuto fare da traino alle vendite. Avrebbe anche giocato un ruolo fondamentale per l’immagine del marchio, inserendosi idealmente nella lunga tradizione d’eleganza delle piccole di casa Lancia, inaugurata alla fine degli anni 30 con l’Ardea e proseguita a cavallo degli Anni ’50 e ’70 con i modelli Appia e Fulvia. Il team di tecnici che avrebbe dovuto progettare la Delta era capitanato dall’ingegner Sergio Camuffo, cresciuto alla scuola di Dante Giacosa e passato dalla Fiat alla Lancia nel 1969, quando la rinomata fabbrica torinese fu assorbita dal ‘regno’ di Gianni Agnelli. “Le difficoltà maggiori nel progetto della nuova vettura – ha rivelato Bruno Cena, ingegnere di lungo corso in Lancia cui si devono, tra gli altri, gli studi sulla Delta 4WD – derivavano da tutta una serie di vincoli tecnici che, per ragioni di costi, eravamo obbligati a rispettare”. Nonostante il budget limitato e un time to market ridotto all’osso, gli uomini di Camuffo progettano una meccanica raffinata, riuscendo a infondere nella Delta alcune virtù tipiche delle ultime Lancia. Come le sospensioni posteriori McPherson, “Uno schema che – ha spiegato Cena – i lancisti avevano già avuto modo di apprezzare sulla Beta e sulla Gamma”.

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UNA VITA DA STAR. La Delta della prima generazione, costruita tra il 1979 e il 1993 in oltre un mezzo milione di esemplari, deve buona parte del suo successo commerciale al design, opera di Giorgetto Giugiaro. Fu l’allora amministratore delegato della Lancia, Gian Mario Rossignolo, a individuare in Giugiaro, che qualche anno prima aveva disegnato la best-seller Golf, l’uomo giusto per vestire la meccanica della nuova Lancia. “Come per tutte le mie creazioni optai per una forma semplice e, secondo la moda del tempo, molto squadrata, perché a parità d’ingombro un cubo sembra più grande di una sfera”, ha spiegato il car designer torinese, rivelando come all’inizio, “quando fu studiato il manichino di abitabilità, i sedili posteriori scorrevano su una slitta”. Una soluzione senza dubbio molto originale, ma antieconomica dal punto di vista di un’azienda che, per razionalizzare i margini di guadagno, doveva per forza di cose limitare i costi di produzione. Dai primi bozzetti emerge chiaramente quello che sarà lo status della nuova Lancia disegnata da Giugiaro: una compatta versatile ed elegante che, proprio in virtù del suo posizionamento premium, sembra fatta apposta per gli yuppies e per le madame della ‘Torino bene’. Un’utenza che la casa torinese riesce a intercettare anche grazie a una campagna pubblicitaria diretta ed efficace. Ne è un perfetto esempio lo spot televisivo con Catherine Deneuve, ideato nel 1982 per il lancio della lussuosa LX: la bellezza eterea e sofisticata della diva francese, che guida ‘la versione esclusiva di un’auto esclusiva’, tiene incollati allo schermo milioni di italiani e diventa il manifesto della nuova Lancia.

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LA METAMORFOSI. Ma per entrare nella leggenda, la Delta prima o poi sarebbe dovuta uscire dai salotti buoni e misurarsi su un terreno che, a onor del vero, la Lancia conosceva molto bene: le corse. Con la Delta da competizione la Lancia riuscì a fare quel che a suo tempo aveva fatto con la Fulvia: avvolgere in un’aura di grandezza anche i modelli stradali, specie i più sportivi, molto simili a quelli che riuscivano a imporsi nei rally. E pensare che all’inizio, come ha raccontato Cesare Fiorio, il perno attorno al quale è ruotata l’intera attività sportiva della Lancia e della Fiat a cavallo tra gli Anni ’60 e ’80, per la Delta non era previsto un impiego sportivo. “Fu solo dopo l’abolizione del Gruppo B da parte della Fia, alla fine del Campionato del mondo rally 1986 – ha spiegato Fiorio – che pensammo di sviluppare una versione da corsa della Delta”. Ancora scossi per la tragica morte di Henri Toivonen e del suo navigatore Sergio Cresto, rimasti intrappolati nel rogo della loro S4 in seguito a una spaventosa uscita di strada al Tour de Corse, i vertici del reparto sportivo della casa torinese prendono atto del fatto che l’equilibrio tra pericolosità delle strade, abilità dei piloti e potenza dei motori si è spezzato per sempre. Le condizioni di sicurezza dei rally non sono più accettabili e i grandi costruttori come la Lancia non possono più permettersi di correre in una tale situazione. Non ci sono alternative: bisogna gareggiare con vetture meno potenti. Così, a partire dalla stagione 1987, tutte le auto schierate nel Campionato del mondo rally devono rispettare i nuovi regolamenti del Gruppo A.

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LA REGINA DEI RALLY. Lo sviluppo della nuova Delta HF 4WD è tutt’altro che semplice. I primi test, alla fine del 1986, vengono affidati a Miki Biasion, il pilota che proprio al volante di un’evoluzione di questo modello, due anni dopo, avrebbe conquistato il primo dei suoi due titoli mondiali. “Teoricamente il motore avrebbe dovuto raggiungere una potenza di 300 CV, ma al Rally di Monte Carlo non ne avevamo neanche 200”, ha confessato l’ingegner Claudio Lombardi, spiegando come – col senno di poi – fu proprio questa una delle chiavi del debutto vittorioso di Biasion. “Poteva sembrare un deficit – ha spiegato l’allora direttore tecnico della Lancia – ma una potenza minore si traduceva anche in minori rischi di cedimento della trasmissione: anche per questo riuscimmo a vincere”. Alle indubbie virtù del progetto, che dal 1987 al 1992 fruttò alla Lancia sei titoli costruttori consecutivi, si aggiungono le qualità umane di una squadra che non conosceva rivali dal punto di vista dell’organizzazione. “Gli altri costruttori non stavano certo con le mani in mano – ha spiegato Sergio Limone, l’ingegnere che nel ruolo di telaista ha percorso la parabola della Lancia nei rally dalla 037 all’ultima Deltona –, ma noi avevamo un’altra determinazione. Reagivamo alle difficoltà più rapidamente e, soprattutto, non avevamo paura di rischiare”. La fotografia di una Lancia fatta di grandi sogni e di grandi uomini, che nella sperimentazione e nell’innovazione vedeva l’unica via possibile per il successo. “Una Lancia che per un pilota di rally – ha dichiarato con una punta d’orgoglio Miki Biasion – rappresentava quello che la Ferrari rappresenta per un pilota di Formula 1”. E forse anche di più.

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