“Lancia – La leggenda del rally”, su Sky la docuserie

Per Sky, con cui all’attivo ha già una decina di serie TV, finora non aveva mai diretto un documentario centrato sui motori. Ma in realtà, di automobili, Andrea Calderone un po’ è appassionato da sempre. “Sono nato a Sassuolo, a una manciata di chilometri dal circuito di Fiorano. Sono cresciuto con il rombo delle Ferrari nelle orecchie e dalle mie parti supercar come le Lamborghini e le Pagani sono parte integrante del paesaggio”, racconta a Veloce il regista emiliano classe ’84 alla vigilia dell’uscita della docuserie “Lancia – La leggenda del rally” su Sky Documentaries e in streaming su NOW.

Perché raccontare il rally? È uno tra gli sport automobilistici più affascinanti in assoluto, ma per Sky è un soggetto piuttosto insolito.
“L’epopea della Lancia nei rally è una storia che funziona e che valeva la pena di raccontare per due motivi fondamentali. Prima di tutto, ha un ritmo incalzante, con il suo continuo alternarsi di alti e bassi, e questo finisce inevitabilmente col ‘prenderti’, facendoti affezionare ai personaggi. E poi questa è anche una grande storia di ingegno italiano e di una rivalità sportiva che vede come avversarsi colossi automobilistici stranieri dai mezzi e dalle risorse superiori. Almeno a ruote forme, dato che poi, alla fine, in gara la Lancia ha saputo farsi valere e anche alla grande”.

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Tra tutti i personaggi, ce n’è uno che ha avuto un’influenza particolare sulla sceneggiatura?

“Probabilmente Cesare Fiorio (lo storico direttore sportivo della squadra corse della Lancia a cavallo tra gli Anni ’70 e ’90, ndr) e Miki Biasion (due volte campione mondiale di rally con la casa torinese, nel 1988 e nel 1989, ndr) si sono spesi più degli altri sul piano personale. Anche per questo le loro sono state le interviste più lunghe. Ciò non significa, però, che siano state fatte delle scelte narrative ad hoc rispetto ai personaggi. D’altronde, questa è una storia più grande di qualsiasi individualità e le vittorie della Lancia appartengono a tutti coloro che hanno contribuito a conquistarle. Quello che abbiamo cercato di far emergere, nel corso delle tre puntate, è proprio il valore e l’importanza del gioco di squadra”.

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Su quale criterio si è basata la scelta di alternare immagini dell’epoca e scene girate oggi?
“Sapevamo di avere tantissimo materiale d’archivio e una vastissima mole di scene di gara: sequenze fondamentali, per corredare visivamente gli aneddoti del passato raccontati dai personaggi. Ma serviva anche un’altra parte di narrazione, più contemporanea e con una maggior qualità di ripresa rispetto ai filmati girati all’epoca per pure esigenze di cronaca sportiva. Volevamo descrivere le auto non solo da un punto di vista delle gare, ma anche come oggetti di arte e design. Quindi abbiamo lavorato anche in studio, con riprese molto fluide e delicate, per esaltare le forme delle vetture e poterle introdurre insieme alla rappresentazione grafica di informazioni come, per esempio, il periodo d’attività o la potenza del motore. Altrettanto importante era restituire il senso della corsa: per questo le auto sono state guidate per davvero, sulle piste di Balocco e sulle stradine dell’Appennino romagnolo”.

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Alle riprese hanno preso parte vetture ex ufficiali o repliche?
“Entrambe. Per le scene statiche abbiamo usato le macchine della collezione Heritage del gruppo Stellantis, più la Delta S4 della Fondazione Macaluso, conservata in condizioni davvero eccezionali. Per le riprese in movimento, invece, ci siamo serviti di muletti oppure di auto che oggi corrono nei rally storici. Sono leggermente diverse da quelle del tempo, ma si tratta pur sempre di vere macchine da corsa”.

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Di momenti emozionanti ce ne saranno stati a non finire, durante la produzione. Se dovesse sceglierne uno?
“Nelle riprese dinamiche, per rendere reale la situazione, bisognava che accanto al pilota ci fosse sempre il navigatore. Nei panni del copilota, una volta, per esigenze di scena mi sono calato anch’io. Sullo sterrato, a bordo di una Delta Integrale. È stato fantastico, anche perché ho provato sensazioni che mai mi sarei aspettato di provare. Ero certo che, su quel fondo dissestato, la macchina sarebbe caduta a pezzi. Invece sembrava un treno sui binari…”.

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