Lanciò la Mustang, salvò la Chrysler: ciao Lee

Lanciò la Mustang, salvò la Chrysler: ciao Lee

ITALO AMERICANO. Era nato a Allentown, nel 1924, da genitori italiani che avevano lasciato San Marco dei Cavoti, in Campania, per questa cittadina della Pennsylvania. È qui che realizzano il loro sogno americano, aprire un negozio di hot dog, che chiamano Yocco’s, cioè come gli americani storpiano un cognome che impareranno a conoscere molto bene. Anche se, Lido Anthony Iacocca, è destinato a passare alla storia come Mr. Mustang. Già, perché la Ford più rivoluzionaria di sempre dopo la Model T è opera sua.

UN GRANDE VENDITORE. Appena mette il naso fuori da Yocco’s, Lido diventa immediatamente Lee. E Lee ha un sogno, lavorare nella Motown. Così, nel 1946, arriva a Detroit per fare l’ingegnere alla Ford. Ma si annoia subito. Lui le auto le vuole inventare, non progettare. E allora mette la sua creatività nella vendita, tre anni dopo diventa responsabile di zona di 18 concessionari. Ma nel 1956 succede qualcosa, i nuovi modelli non piacciono e piazzare le auto diventa un problema. Ma Lee Iacocca ha in mente una formula, che diventa subito uno slogan: ’56 for ’56 (56 dollari al mese per 3 anni per un modello del ’56. E praticamente s’inventa il pagamento rateizzato…). L’America risponde bene, il pragmatismo la convince sempre. Comincia l’ascesa di Lee: capo delle vendite auto e camion, vicepresidente dell’intera divisione (a soli 36 anni) e alla fine presidente della Ford (dopo 24 anni in azienda).

Capt. Stanley Tucker and His Ford Mustangs, Numbers 1 and 1 Mill

PASSA ALLA CHRYLSER. L’ennesimo colpo di scena succede quando, nel 1978, nonostante il successo della Mustang (e della Fiesta in Europa), Iacocca viene silurato da Henry Ford II. Questioni personali, dichiara il figlio del fondatore, che pare non gli avesse perdonato l’insuccesso della Ford Pinto: per fargliela pagare lo caccia addirittura dal quartier generale di Dearborn, mandandolo in un magazzino sgangherato in Telegraph Road. Evidentemente non conosce il suo pollo che, qualche settimana dopo, è già in Chrysler. La terza casa automobilistica americana allora non andava benissimo, anzi. Ma Lee arriva con un asso nella manica: il minivan (ma tu chiamalo, se vuoi, monovolume). Detto così sembra tutto facile, ma in mezzo ci sono finanziamenti governativi, soldi presi in prestito, tagli degli stipendi. Lee comincia col suo: che nel 1980 passa da 360.000 dollari a 1. E come al solito, la gente lo segue. A tal punto che nel 1983 è già in grado di ripagare i creditori.

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LA CHIAMATA DI REAGAN. Un giorno, nel maggio del 1982 riceve una telefonata. “Lee ciao, sono Ronald. Ronald Reagan”. Il presidente vuole che Iacocca si occupi della raccolta fondi per restaurare il simbolo americano per eccellenza: la Statua della Libertà. Lido Anthony accetta, dicendo “lo faccio per tutti gli immigrati, lo faccio per i miei genitori”. Nel frattempo viene colpito, molto duramente, dalla morte della moglie. “È stato il momento più triste della mia vita”, dirà sempre. E così la richiesta di presentarsi come candidato per le elezioni presidenziali gli passa sopra. C’è chi dice che sia stato un peccato: i sondaggi lo davano favorito.

LA FRUSTA. La carriera di Iacocca non poteva finire che con l’ennesimo fuoco d’artificio: nel 1987 Chrysler rileva l’American Motors Corp. dalla Renault (è grazie a questa mossa che il marchio Jeep torna negli States e FCA ringrazia). A un certo punto gli era balenata anche l’idea di regalarsi la General Motors. Ma, come ha scritto nelle sue memorie, “era troppo complicato. A quel punto sarebbe stato più facile comprarsi la Grecia”. Come Churchill, anche Lee Iacocca è passato alla storia per quell’immancabile sigaro in bocca che gli dava un’aria da spaccone. In realtà era schivo e riservato. Se c’era una cosa che gli poteva rovinare la giornata, infatti, era dirgli che doveva parlare in pubblico. Ma coi suoi era esigente, duro. Cambiava i nomi alle auto il giorno prima della presentazione e cassava questo o quel modello passandoli in rassegna come nelle parate militari. Insomma, se l’hanno soprannominato The whip, la frusta, un motivo ci doveva pur essere.

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I FIGLI… SO’ PEZZI ‘E CORE. Ma quando gli chiesero quale fosse la sua eredità non rispose la Mustang, gli anni in Chrysler o chissà che. Ma disse semplicemente “le mie meravigliose figlie e i miei nipoti. Il resto, si sa, sono cose che vanno e vengono…”.

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