Radford 62/2, la Lotus che non è una Lotus

Radford 62/2, la Lotus che non è una Lotus

Presentata nel fine settimana in California, la 62/2 è la prima vettura del nuovo corso di Radford, carrozziere famoso in Inghilterra negli Anni ’60 e rinato pochi mesi fa con passaporto anglo-americano. Sarà prodotta in 62 esemplari (prezzo non comunicato) e battezza ufficialmente una collaborazione con Lotus, che approfitta del progetto per una transizione più morbida dai modelli a fine carriera (Elise, Exige, Evora) al futuro del marchio (per ora la tradizionale Emira, in attesa che la concept elettrica Evija diventi realtà).

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L’ANTENATA ILLUSTRE CHE VINSE POCO. La 62/2 si ispira fortemente alla Lotus Type 62, sviluppata nel 1969 per competere nel campionato prototipi. Derivata dalla Type 47 (più conosciuta come Lotus Europa), fu costruita in due esemplari e non ebbe un grande successo nelle competizioni (il basamento motore derivato dalla Vauxhall dava qualche problema): non andò mai oltre il terzo posto. Un palmares deludente per una creazione di Colin Chapman, a cui però si perdona l’irrilevanza sportiva in virtù di un design più aggraziato rispetto alla agonisticamente più fortunata Europa.

Lotus Type 62

Lotus Type 62

UN VESTITO DI SARTORIA, MODELLATO SULLA EVORA. Sotto alle linee morbide della 62/2 ci sono il telaio e la meccanica della Lotus Evora, un ultimo canto del cigno per il modello che saluta il mercato in attesa della nuova Emira. Non manca qualche soluzione specifica disegnata dal team di Radford, oltre probabilmente a qualche anticipazione presa a prestito dalla attesissima nuova portabandiera del marchio anglocinese (oggi è un brand della galassia Geely). Dalla Evora arriva anche il motore V6 da 3,5 litri.

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QUANDO IL COACHBUILDING RITORNA (MA NON PARLA ITALIANO). Un nome, quello di Radford, che a millennial e Gen Z non dice assolutamente nulla, ma che a qualche appassionato dai capelli bianchi potrebbe ricordare qualcosa. Prima della rinascita ad opera del designer Mark Stubbs, della car personality Ant Anstead e dell’ex iridato di F1 Jenson Button, il marchio (nato inglese) ha vissuto decenni di oblio, ma se fate lo sforzo di tornare agli Anni ’60 riprende subito vita la magia di Harold Radford, che impiantò a South Kensington un atelier di personalizzazione che rendeva ancora più uniche Bentley, Rolls-Royce e Aston Martin (ad esempio con eccentriche versioni station wagon), anche se furono le Mini in versione extra lusso – un po’ come faceva in Italia la Francis Lombardi con le Fiat 500 – a far nascere una vera e propria Radford-mania (persino i Beatles avevano quattro Cooper rivisitate dall’atelier): carrozzerie bicolore, sedili in pelle, cockpit in noce e persino portelloni su misura per facilitare il carico degli strumenti musicali. Qualcosa di non troppo lontano da quello che David Brown Automotive fa oggi con i restomod delle Classic Mini. 

Radford Mini

Radford Mini

NON SOLO DESIGN, IL FASCINO DELLE LIVREE OLD SCHOOL. Che il brand peschi a piene mani dalla golden age del motorismo si vede, e non solo dalla partnership con Lotus e dal richiamo a un modello di fine Anni ’60. Oltre allo sviluppo tecnico della 62/2, quelli di Radford hanno passato gli ultimi mesi a chiudere accordi per l’acquisizione dei diritti di utilizzo di due tra le livree più iconiche per gli amanti del motorsport: quella nera-e-oro John Player Special e quella bianco-rossa Golden Leaf, capaci di tele-trasportare in un istante sugli spalti di qualche circuito mentre sotto sfrecciano a tavoletta assi del calibro di Andretti, Peterson, Rindt, Fittipaldi o Senna: altri tempi, altro spettacolo. Una bella mossa commerciale per acquirenti emotivi, oltre a essere l’unica opportunità di vedere quelle riconoscibilissime colorazioni usate in modo ufficiale (sarebbe impossibile vedere livree di un brand di sigarette usate senza sbianchettamenti dei nomi su una moderna vettura da corsa). Insomma, un’operazione nostalgia che si può già prevedere di successo.

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UN MODELLO, TRE VERSIONI. Le livree servono anche per differenziare specifiche e prestazioni delle tre diverse varianti del progetto 62/2: la Classic è la più tranquilla, con la taratura stock del motore ex-Evora (430 cv) e il cambio manuale – sei marce, con l’opzione dell’unità doppia frizione a sette rapporti –, la Golden Leaf è quella intermedia (500 cv, grazie a pistoni e albero a camme rinforzati), mentre la JPS riceve in dono la sovralimentazione e i freni carboceramici. Le ultime due condividono anche il cambio automatico DCT e il differenziale autobloccante elettronico. Tutte sono costruire intorno al telaio monoscocca Lotus, a cui è accoppiato un sottotelaio Made in Radford, e assicurano un feeling di guida da vettura da corsa, frutto del lungo lavoro di sviluppo di Jenson Button nella nuova veste di pilota-collaudatore. La nascita della 62/2 non è che l’ultimo esempio del rinnovato entusiasmo dei carrozzieri verso la nicchia di mercato che ha reso quel mestiere iconico: produzioni di piccole serie – non solo concept car da presentare a un salone –, focus sull’estetica ma con un occhio anche a funzionalità e prestazioni, proiezione verso il futuro senza dimenticare il passato. (Testo: Cesare Sasso)

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