#sparafangaweek/4: le curvy a quattro ruote

#sparafangaweek/4: le curvy a quattro ruote

La #sparafangaweek è dedicata a tutte le auto che hanno fatto dell’esagerazione nel trattamento dei parafanghi il loro tratto distintivo. E, sopratutto, è dedicata a tutti voi che le amate. La narrativa di questa ‘specialità’ automobilistica è sterminata e vale la pena ricordare che la genesi di questi fianchi larghi è sempre da attribuire alla sinuosità di certe forme o alla necessità di coprire l’eccesso, l’oversize, una qualche forma di esagerazione. E tutto questo è sexy, certo. Eccoci alla quarta puntata della #sparafangaweek. 

FIAT ABARTH SE 035 1979. Nella seconda metà degli Anni 70, la Fiat 131 Abarth Rally è la regina dei traversi: vince due Campionati del mondo Rally-piloti (Markku Alén nel 1978, Walter Röhrl nel 1980) e tre Mondiali costruttori (1977, 1978 e 1980). Quando comincia a diffondersi (1979) la voce di una possibile nuova categoria sportiva caratterizzata dall’utilizzo della trazione integrale, la 131 viene portata al massimo sviluppo possibile. L’Abarth crea il più avanzato esito, denominato SE035. Il progetto, guidato da Aurelio Lampredi, ha il suo cardine nel compressore volumetrico, installato nel vano motore di una 131 con motore due litri e testa a 16 valvole. Ma per restare nella classe sotto i due litri il circuito di aspirazione forzata obbliga a una successiva riduzione di cubatura a 1.450 cc. Si raggiunge, così una quota di potenza variabile tra 290 e circa 330 cavalli a fronte di un peso di poco superiore ai mille chili. Il design della 035 si commenta da sé: è uno sfoggio di superfici larghe e ampie (la larghezza dei passaruota è imbarazzante e non manca un mega-alettone in coda, che le valgono il soprannome di Moby Dick). La 035 partecipa alle qualifiche per la 24 Ore di Le Mans del 1980, ma l’Abarth, complice anche le scarse prestazioni (viaggia intorno ai 280 km/h, troppo poco) decide di non impegnarsi e il progetto viene archiviato. All’orizzonte inizia a vedersi la sagoma della Lancia 037.

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OPEL OMEGA LOTUS 1990. A cavallo di Anni ’80 e ’90 esistevano alcune certezze: BMW M5, Audi 100 S2/S4, Mercedes 500E, Lancia Thema Ferrari… Poi al Salone di Ginevra del 1989, la Opel presenta un’Omega sviluppata con Lotus e ogni assunto automobilistico crolla polverizzato. Distrutto. L’Opel Omega Lotus è un’automobile talmente immensa da risultare assurda, eppure regolarmente a listino accanto a una Fiat Croma o una Volvo 740/760. Ci vuole un pizzico di sana pazzia per portarsela in garage. Sei cilindri in linea, 3600 cc, due turbocompressori, 377 cv, impianto freni AP Racing (con dischi frontali da 330 mm), ruote da 17”, 1650 kg, 283 km/h, 0-100 km/h in 5″2 e ABS.

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MONTEVERDI HAI 1970. Allo scopo di opporre una dignitosa concorrenza agli storici e quasi invincibili marchi italiani, nella primavera 1970 il piccolo costruttore svizzero presenta al Salone di Ginevra la HAI (in tedesco squalo). È una compatta (430 cm in lunghezza) ma possente coupé due posti a motore centrale che va direttamente allo scontro con Lamborghini Miura, De Tomaso Pantera e Mangusta, Alfa Romeo 33 Stradale. La carrozzeria Fissore crea un vestito molto affascinante, che avvolge un telaio a traliccio tubolare con un generoso motore V8 HEMI di provenienza Chrysler. La Hai è piccola ma, a differenza del Toro di Sant’Agata, liscio e magro sui fianchi, ha i passaruota straripanti sui quattro lati.  L’otto cilindri 7 litri eroga ben 400 cavalli. Ma per mantenere dimensioni così compatte è sistemato talmente in avanti da fare il solletico ai gomiti degli occupanti. Dichiara meno di 5″ per lo 0 a 100 km/h e sfiora i 300 km/h. Il progetto non riesce a decollare mai: nel ’71 viene allestito un secondo esemplare e nel ’73 una versione Più performante. In totale vengono costruite meno di cinque Monteverdi HAI.

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COLANI LOTEC TESTA D’ORO 1989. Il designer Luigi Colani è stato espressione di estro e creatività all’ennesima potenza, specialmente per la forza nell’estremizzazione di superfici e volumi tondi e sinuosi. Gli studi di Colani portano, nel 1989, alla creazione di una variazione sul tema Ferrari Testarossa. La Lotec Testa d’oro è sconcertante in termini ‘biblici’, un oggetto indescrivibile con aggettivi ma è straordinariamente coerente: è cosmica non solo per lo stile, ma pure per la meccanica; e sembra descrivere la forma che prende un’automobile quando la porti alla velocità della luce. È lunga 7 metri e larga circa due e mezzo ma, secondo i testi scritti su di lei, ti dà la sensazione di una larghezza pari a due Ferrari normali. A livello meccanico il telaio proviene da una Testarossa ma il V12 piatto di Maranello viene preparato da Lotec, uno dei più famosi tuner degli Anni ’80. Grazie a un kit con due turbo la potenza ottenuta è di oltre 750 cv. Nel 1991 la Testa d’Oro supera 350 km/h sulla spianata di Bonneville nella Valle della Morte a conferma della sua straordinarietà stilistica ma anche meccanica.

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RENAULT 5 TURBO 1979. Nella seconda metà degli Anni ’70 Renault si dedica con energia al turbo. Nel ’77 Jean Pierre Jabouille è alla partenza del GP di F1 di Gran Bretagna con la RS01, prima monoposto sovralimentata della storia. Nel ’78 Jaussaud e Pironi vincono la 24 Ore di Le Mans con la Alpine A442B. La Renault 5, in listino già dal ’72, e in versione sportiva dal ’76 (l’R5 Alpine) sente il bisogno di diventare una bomba che raccolga successo nel motorsport. A Parigi ’78 viene presentato il concept della Renault 5 Turbo. È solo un mock-up senza motore ma tanto basta. Il design è pressoché definitivo ed è incredibile: l’R5 si è trasformata in una specie di Jessica Rabbit: iper sexy, iper sensuale, iper larga. Nel ’79 esordisce in gara, nel maggio 1980 inizia la produzione in serie. Il motore è un 1.4 turbo centrale-posteriore con 160 cv a 6000 giri e 210 Nm a 3250 giri. Solo due i colori disponibili: Olympic Blue e Grenadyne red. L’R5 Turbo tocca i 200 km/h e vola sullo 0-100 in 6″5. La velocità di punta non è poi sconvolgente. Quello che sconvolge è l’erogazione, con il turbo sottoposto a un significativo lag. Una volta esaurito l’R5 schizza in avanti e ti incolla al sedile. Fino all’82 vengono prodotti un po’ più di 1800 esemplari. Nell’83 arriva la seconda serie, aggiornata al Gruppo B e leggermente più pesante. Resta in produzione fino all’86. La produzione della Turbo 2 è di 3167 esemplari.

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AUDI SPORT QUATTRO 1984. Al Rally di Monte Carlo 1981 debutta l’Audi Quattro: a dieci chilometri dalla partenza di una prova speciale Hannu Mikkola supera una Lancia Stratos che era partita un minuto prima di lui. Non è tuttavia invincibile nonostante la trazione integrale: è pesante, non troppo affidabile e non ben bilanciata (il motore anteriore longitudinale ‘fa troppo peso’ sull’asse anteriore). Dopo aver perso anche il Mondiale WRC ’83 (andato alla Lancia 037), l’Audi ri-progetta la Quattro secondo le norme del Gruppo B. Il telaio monoscocca viene accorciato di 32 centimetri ma il design resta più o meno invariato, con parabrezza poco inclinato e sbalzi lunghi. Dalla macchina da corsa l’Audi ricava duecento esemplari stradali: il cinque cilindri duemilacento si converte al carter in alluminio, turbo KKK di grandi dimensioni e testata a quattro valvole. La Sport Quattro, invero bruttarella (‘uno scatolotto’ a passo corto con fianchi larghi come un autobus), scatena 306 cavalli: raggiunge i 250 km/h e vola a 100 orari in meno di 5″ (meglio di una Lamborghini Countach). Ne vengono costruite 214.

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