Transizione energetica? Rischia di lasciarci al buio

Transizione energetica? Rischia di lasciarci al buio

Il tema non è ancora all’ordine del giorno, almeno non è entrato nella quotidianità delle persone in Europa, figurarsi nell’agenda politica, ma a sentire gli esperti non tarderà a diventare centrale nella vita di tutti noi se non ci si attrezza di conseguenza tempestivamente. Intanto, se state lavorando al pc fate ‘control o mela s’ e salvate il vostro lavoro in corso, fidatevi. Si tratta di questo: prepariamoci a soffrire di black-out intermittenti, come già sta accedendo in Australia e California. E la colpa sarà tutta della transizione, sempre più spinta, verso fonti rinnovabili di energia come solare ed eolico e verso forme di mobilità che, avendo bisogno di energia elettrica, aumenteranno drammaticamente il fabbisogno complessivo. Il che significa che durante un black-out, oltre che restare al buio e con il frigorifero trasformato in un forno, richiamo anche di restare a piedi. E, secondo i tecnici, non si tratta di capire se il problema accadrà, ma solo quando e quante volte.

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CHE COSA È SUCCESSO. Un’avvisaglia di questo pericolo si è avuto già nei giorni scorsi di intenso freddo e intenso consumo quando, per un problema in Croazia, l’intera rete europea ha lasciato senza energia 200mila famiglie nel Continente e tagliato la fornitura industriale in Italia e Francia. L’incidente, che poteva trasformarsi in un enorme black-out continentale, ha messo sotto tensione l’intero grid europeo, connesso da Lisbona a Istanbul, e portato alla luce il problema che è strettamente correlato con le energie rinnovabili. Ma non si tratta di capacità produttiva, al momento sufficiente a sostituire quella tradizionale: il problema è la continuità. Le reti di trasmissione devono, infatti, rimanere a una frequenza di 50 hertz per funzionare senza problemi e qualsiasi abbassamento di tensione può danneggiare le apparecchiature collegate, che una volta in tilt possono causare l’interruzione della fornitura per milioni di persone e siti produttivi.

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ALCUNE SOLUZIONI. Grandi quantità di elettricità intermittente creano, infatti, enormi sbalzi di fornitura che la rete deve essere in grado di affrontare. In Australia, nel 2016, l’energia eolica è stata la causa di un blackout che ha tagliato la fornitura a 850mila case. L’incidente ha però aperto gli occhi agli Aussie che hanno investito l’anno successivo in una megabatteria da 100 megawatt per accumulare energia da rilasciare in caso di cali di tensione. Frequenti i black-out anche in California, dove circa un terzo dell’energia impiegata proviene da fonti rinnovabili. La scorsa estate, il calore record ha mandato in tilt le forniture soprattutto di sera quando la rete ha sofferto il calo della produzione degli impianti solari. Anche in questo caso la soluzione è stata individuata negli accumulatori, in grado di immagazzinare e rilasciare alla bisogna quantità di energia sufficienti ad assicurare la continuità della tensione e della fornitura. 

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L’OPPORTUNITÀ. “Il problema non è posto dalla crescita diretta dell’elettricità verde, ma dalla riduzione della capacità convenzionale“, ha spiegato a Bloomberg Eglantine Kuenle, capo modellatore dei sistemi elettrici presso l’EWI Institute of Energy Economics dell’Università di Colonia. “Il risultato è una lacuna nella generazione sicura di energia e nel bilanciamento della rete che deve essere superata”. In Germania, il più grande produttore di elettricità verde in Europa, il problema si pensa di risolverlo con le importazioni dai paesi vicini che dovrebbero colmare i cali di tensione e produzione della rete nazionale, che dal 2022 dovrà rinunciare al 25 percento circa dell’energia prodotta attualmente dalle centrali nucleari e a carbone. Anche in questo caso non è la quantità di energia complessiva prodotta il problema, ma la sua continuità. Rivolgersi ai paesi vicini più che immagazzinare in batterie, è in sostanza solo una soluzione temporanea, valida fin quando anche gli altri non transiteranno più speditamente verso fonti green. Insomma, il tema della transizione energetica e alla mobilità elettrica è continentale e sistemico con effetti su tutta le filiere e tutti i settori industriali. Un problema che però è anche una grandiosa opportunità. Per l’ambiente, ma a guardar bene soprattutto per l’economia. Nell’attesa, salvate più spesso del solito i documenti mentre li elaborate al pc o asciugate i capelli in fretta. Non si sa mai che salti tutto e non vi resti che passeggiare. 

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Un commento su “Transizione energetica? Rischia di lasciarci al buio”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    Un’alternativa agli accumulatori è rappresentata dal vettore energetico che risponde al nome di idrogeno.
    Capitolo affascinante quello dell’idrogeno. Idrogeno verde, non blu ricavato dal metano.
    Tutti rilevano la perdita di energia elettrica impiegata per scindere l’idrogeno è l’ossigeno dall’acqua, ma la perdita di energia nella trasformazione non è un problema se hai una tecnologia sempre più efficiente e semplice per scindere idrogeno ed ossigeno dall’acqua impiegando un elettrolizzatore.
    Nel fotovoltaico si perde dell’energia, solo il 20% dell’energia solare si trasforma in energia elettrica con un elettrolizzatore solo la metà di questa diventa idrogeno.
    Fino ad ora, sommando i due processi si otteneva un’efficienza complessiva del 10%: una parte su dieci dell’energia solare catturata da un pannello fotovoltaico diventa idrogeno. Il fotovoltaico serve.
    Serve per alimentare gli elettrolizzatori.
    Nei prossimi anni vedremo se l’idrogeno, i nuovi elettrolizzatori solari e le tecnologie di stoccaggio avranno un futuro che non avremmo mai immaginato.
    Per diffondere le conoscenze scientifiche e tecnologiche l’UE ha predisposto la piattaforma Hydrogen Valley, una piattaforma globale di condivisione delle informazioni, sviluppata dall’impresa comune Fuel Cells and Hydrogen per supportare gli Stati membri IC8 di Mission Innovation. Il suo obiettivo è promuovere la ricerca, la nascita e l’attuazione di progetti faro dell’idrogeno e sensibilizzare i responsabili politici, promuovendo così la transizione verso l’energia pulita.
    Intanto a Fukushima è in funzione l’Hydrogen Energy Research Field (FH2R), l’impianto da 10 MW, realizzato in Giappone dalla Toshiba, 1.200 Nmc di idrogeno solare all’ora, in grado di sfruttare i picchi di produzione rinnovabile (e, in un sistema integrato, l’eccesso di offerta in rete) per sintetizzare idrogeno a basso costo. L’idrogeno prodotto viene utilizzato per rifornire mezzi di trasporto, utenti domestici e industriali nella prefettura di Fukushima, nell’area metropolitana di Tokyo e in altre regioni.

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