Triumph TE-1, un conto alla rovescia elettrizzante

Triumph TE-1, un conto alla rovescia elettrizzante

Le cose cambiano. Una prova? Se a mio padre avessero detto che nel 2022 sarebbe arrivata una Triumph elettrica, avrebbe vissuto il conto alla rovescia come un condannato a morte. Del resto erano generazioni smarmittate, quelle, cresciute solo con una cosa in testa: le valvole. Cosa ti potevi aspettare? Il centauro di oggi è un’altra cosa invece. E quando non è addirittura nativo digitale ha comunque un telefonino in mano. 

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TUTTO SECONDO I PIANI. La tabella di marcia di questa rivoluzione a due ruote prevedeva che a febbraio si sarebbe dovuta concludere la fase 3 del progetto. E così è stato. Quindi d’ora in poi, quando sentirai parlare di TE-1, sappi che trattasi di un vero e proprio prototipo e non più di una scommessa sul futuro di quattro partner inglesi e visionari: Triumph, Williams Advanced Engineering, Integral Powertrain e WMG Università di Warwick. 

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I FANTASTICI QUATTRO, UNO PER UNO. Se di Triumph, l’azienda inglese che nel 1956 conquistò il record di velocità che avrebbe dato il nome al proprio best seller, la Bonneville appunto, si sa più o meno tutto, per i non addetti ai lavori gli altri tre partecipanti sono a dir poco dei punti interrogativi. Per trasformarli in esclamativi, leggi qui. Williams Advanced Engineering (WAE) si è occupata di testare la batteria, correggendo i problemi che via via si sono presentati. A loro si deve anche lo studio di layout e posizionamento a bordo, per migliorare bilanciamento e maneggevolezza della moto. Invece Integral Powertrain è quella del gruppo motore-inverter. Il goal era sviluppare un sistema senza cavi di fase, barre di alimentazione o circuiti di raffreddamento separati. Si puntava anche alla scalabilità, però. Tradotto, si voleva ottenere una differenziazione come se ci fossero varie cilindrate. Qualche numero: il peso-potenza di questo motore (tecnicamente densità energetica) è di 13 kW/kg, per una kilowatteria che nella TE-1 supera i 500 kW. E qui il punto esclamativo ci sta tutto, no? Warwick Manufacturing Group (dell’Università di Warwick) per lo sviluppo della centralina ha messo a disposizione due banchi prova, oltre che un software fatto direttamente da loro. Insomma, come si evince da questo sodalizio di aziende, ormai il modo di progettare le neomobili, cioè i nuovi mezzi della mobilità 2.0, assomiglia sempre di più a quello che si usa in Silicon Valley per far app e computer: mettere insieme pezzi (di hardware e di software) prendendoli direttamente da chi li produce. O li sviluppa, o addirittura li inventa. Un approccio che dà ragione ai distretti (oltre che alla storia nostrana che ha insediato l’auto a Torino e le supercar in Emilia) e torto marcio alla mancanza di visione dei tuttologi che vogliono sempre scoprire l’acqua calda. 

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E POI? Alla più tipica delle domande dei malati di futuro rispondo che dopo la fase 3 la matematica insegna che ci sarà la 4, cioè quella del collaudo. Quando finalmente si passerà dal prototipo dimostrativo alla bestia da piega che tutti ci aspettiamo. Operazione delicata, che richiede una serie di messe a punto. Come la calibrazione dell’acceleratore, la mappatura della trasmissione e dell’erogazione, l’ottimizzazione termica (perché sì, anche le batterie scaldano…). Comunque sia le previsioni dicono che tutte queste cose (e anche altre), succederanno da qui all’estate. Morale il futuro è dietro l’angolo. Per vedere che effetto fa una superbike elettrica di un decennio fa, guarda com’era la californiana Mission R.

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