Volkswagen Golf W12-650: la più estrema di sempre

Volkswagen Golf W12-650: la più estrema di sempre

Se nel 2008 il crack della Lehman Brothers e l’inizio della Grande recessione sconvolgevano il mondo, l’anno precedente la Volkswagen lasciò letteralmente a bocca aperta gli appassionati e tutto il settore delle quattro ruote. Sembra incredibile pensare a quanto sia cambiato il mondo in soli quindici anni: la transizione energetica e la mobilità green erano solo un pensiero lontano, e la lotta tra i marchi si fondava sulla competenza di creare notizia con ‘follie’ meccaniche e non sulla capacità di capitalizzare like sui social. Ed è proprio nel 2007 che venne il colpo di genio alla Volkswagen, sfruttando la cornice del Wörthersee Festival – il raduno dedicato al tuning e agli appassionati della Casa di Wolsburg – proponendo la Golf a 12 cilindri, ossia la Golf più estrema di sempre. Un esemplare unico nel suo genere, da esposizione (ma funzionante) che servì per dimostrare al mondo il patrimonio della Volkswagen, che poteva contare sulle tecnologie, sul lusso e le performance dai marchi sportivi controllati come Lamborghini, Bugatti e Bentley 

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UNA SFIDA INGENERISTICA. Dunque, la concept della Golf W12-650 deve la sua costruzione al contesto storico in cui si trovava, non minacciato dalle crisi, con disponibilità economiche ben superiori a quelle che oggi conosciamo. Basata sulla quinta generazione della Golf, la one-off tedesca montava longitudinalmente, al posto dei sedili posteriori, il poderoso W12 6.0 Bentley della Continental, da 650 cavalli e 750 Nm di coppia: una vera sfida per gli ingegneri che dovevano istallare un propulsore dalle dimensiono ciclopiche in una vettura da soli 4,20 metri di lunghezza. 

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INGUIDABILE. Le performance del prototipo (dichiarate) erano anch’esse sbalorditive, così come il progetto nel suo complesso. La Golf W12 prometteva una velocità massima di 320 km/h, uno scatto 0-100 km/h sotto i quattro secondi, con la prima e la seconda marcia limitata al 60 percento della potenza, con il 12 cilindri pronto a esplodere al 100 percento delle sue potenzialità solo dopo la terza. Una soluzione obbligata, dovuta alla dinamica del veicolo complessa che la rendevano difficile, se non impossibile da guidare: Il passo della vettura, infatti, non era sufficiente a gestire la cavalleria. Mentre a rendere ancora più complesso, e quasi drammatico, il quadro relativo alla meccanica, ci pensava il cambio Tiptronic della Volkswagen Phaeton, che sicuramente non eccelleva nell’utilizzo sportivo.

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UN MIX DI MARCHI BLASONATI. Se può sembrare l’oggetto dei desideri di un tuner fanatico di Wolfsbrug, la Golf W12 lascia il segno anche per il valore e la componentistica sotto la carrozzeria extra-wide. Oltre al motore di derivazione Bentley, la ‘chimera’ tedesca monta l’impianto frenante anteriore dell’Audi RS4 e l’intero retrotreno della Lamborghini Gallardo (compreso di freni). Rivista anche sotto il profilo aerodinamico, oltre al kit wide-body, esagerato, che allarga la carrozzeria di ben 16 centimetri, la Golf W12 ha un tetto in fibra di carbonio, e un particolarissimo montante C (ossia il terzo montante della vettura). Questo ultimo elemento non solo aumentava la deportanza a terra, ma creava un canale d’aria funzionale al raffreddamento del motore, un sistema che veniva poi completato da due ventole installate al posto della cappelliera, che servivano sempre ad abbassare le temperature del propulsore.

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PENSARLA AI GIORNI NOSTRI. Anche se la Golf W12 non ha mai raggiunto le nostre strade, dimostra come alcune volte gli estremismi meccanici non siano funzionali a un normale utilizzo sia in strada che su pista. Infatti, la concept tedesca si dimostrò acerba e inguidabile, che se paragonata alla Golf R di oggi, equipaggiata da 2.0 turbo a 4 cilindri da 320 cavalli, documenta il divario tra le due auto e il miglioramento tecnologico del settore. E anche se il prototipo della Golf mostrò delle pecche progettuali, sarà sicuramente una di quelle follie che difficilmente scorderemo nella storia dell’automobilismo. (Testo: Federico Giavardi)

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