60 anni fa la Mini mise le ruote… all’angolo

60 anni fa la Mini mise le ruote… all’angolo

LE QUATTRO RUOTE AGLI ANGOLI – Quando ad Alec Issigonis arrivò la richiesta di progettare un’auto piccola e che consumasse poco, ma che fosse anche comoda per quattro adulti, il progettista mingherlino non pensava minimamente a Montecarlo. Lui che veniva da una città greca, che nel frattempo era diventata turca, semmai aveva in testa le stradine strette e tortuose di quei centri storici mediterranei spazzati dal vento, roba da asini e carretti. Molto simili a quelli dell’Inghilterra, ma molto più polverosi. Issigonis aveva negli occhi anche la semplicità delle costruzioni millenarie della propria terra, quelle architetture essenziali, fatte per durare. È per questo che quando cominciò a buttare giù i primi schizzi di quella che doveva essere la prima Mini adottò lo stesso approccio che aveva quando preparava l’insalata greca. Un pezzo di cetriolo qui, una fettina di feta là… Partendo da una classica tre volumi, Issigonis cominciò a togliere il muso, a far scomparire la coda, a mettere le quattro ruote agli angoli della carrozzeria per liberare quanto più spazio possibile al suo interno. È così che l’80% del pianale diventò abitacolo. Gli ultimi dettagli da sistemare furono le sospensioni, addirittura indipendenti. E poi il motore, ovviamente. In casa c’era l’850 della Austin, un quattro cilindri che poteva fare al caso suo, non fosse che per l’ingombro. Ma il maestro dell’arte dell’arrangiarsi decise di superare il problema montandolo trasversalmente, East to West, come dicono gli inglesi. E per farci stare il cambio lo piazzò sotto il motore, e tenne la trazione lì davanti, eliminando così pesanti e voluminose trasmissioni. Una ricetta così semplice da essere rivoluzionaria, e poi copiata all’infinito.

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NASCE LA MINI. Ecco, per sommi capi, com’è stata inventata la Mini (venduta dal 1959, sia col nome Austin Seven sia Morris Mini-Minor), che sarebbe rimasta un’utilitaria economica se una delle prime persone a cui era stato mostrato il progetto non fosse stato John Cooper. Quel John Cooper della Formula 1 che, appena sceso dal giro di prova corre da Issigonis e gli fa: “Ma lo sai che hai fatto una gran bella sportiva?”. La faccia sorpresa del greco, le strisce sul cofano, il tetto bianco (o nero), insomma, il resto ormai è leggenda. L’auto di un Mr. Bean qualunque diventa la Mini. Pure pluri vincitrice del rally di Montecarlo (1964-65-67) davanti a mostri sacri come Saab 96, Porsche 904 e Lancia Fulvia.

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IL MITO. Cosa ci si poteva aspettare da un progettista greco cresciuto a pane e Odissea se non la creazione dell’ennesimo mito? Oltre cinque milioni di Mini vendute in tutto il mondo, una longevità che sa di segreto di eterna giovinezza (la ‘classica’ Mini uscirà di produzione nel 2000 quando ormai il riferimento rallystico era la Subaru Impreza a cui l’ultima serie più larga che lunga, la Sport Pack, un po’ si ispira) e un sex appeal che va ben oltre il mondo dell’automobile, conquistando quello delle passerelle. Non è un caso che sia proprio con il nome di questo modello che verrà chiamato il capo di abbigliamento femminile che ha fatto girare più teste di sempre, la mini-gonna.

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AI RAGGI X. Guardando i filmati dell’epoca che raccontano una produzione in serie molto casereccia, la cosa che si nota subito è che i lamierati della carrozzeria venivano saldati pressoché a mano. È un’auto fatta come una costruzione di Lego, pezzo per pezzo, dall’esterno agli interni (il volante prima dei sedili) e il motore alla fine. Giusto prima del collaudo. Nonostante le misure ristrette (3,054 metri di lunghezza, 1,397 di larghezza e 1,346 di altezza) la conquista dello spazio di Issigonis ha permesso a questa berlina di ospitare quattro adulti con il rispettivo bagaglio (si viaggiava con valigie di forme regolari, non con trolley free style). Inoltre, i quattro vani laterali, due per lato, consentivano di stipare tutto quello che non ci stava nel baule. Per la gioia di Cooper, che vedeva la distribuzione ottimale del peso.

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LA FAMIGLIA AL COMPLETO. Costruita su licenza un po’ in tutto il mondo (in Italia la faceva la Innocenti), col tempo è diventata anche famigliare (Clubman, con le protezioni in legno stile woody americana), van (due posti con vano di carico), pickup, cabrio e pure spiaggina (la Mini Moke). Ovviamente le più spinte erano le Cooper, con motori fino a 1300 da oltre 65 cavalli (che con poco più di 600 chili di peso si sentivano eccome). Nel corso del tempo, e delle tre serie, la Mini perde i baffi che incorniciano il radiatore, vede scomparire le cerniere esterne delle portiere, i fanalini posteriori crescono e i finestrini non scorrono più, ma scendono e salgono come nelle auto normali. Negli anni Novanta arriva l’iniezione, ma il cambio di serie rimane a quattro marce.

 

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