A volte ritornano: Il monobraccio anteriore

A volte ritornano: Il monobraccio anteriore

Se c’è un tributo all’ingegno motociclistico italiano, se non altro per tutte le volte che è stato usato, è il monobraccio anteriore. Traduzione ingegneristica del famolo strano di Verdone, ogni tanto, questa soluzione che sa ancora di futuro, viene riproposta su esperimenti di meccanica a metà tra Frankenstein e un ‘eppur si muove’. Monumenti veri e propri alla meccanica quantistica, insomma, oggetti che vanno al di là del bello e dell’utile, entrando nel regno dei fuochi d’artificio: dove vince sempre quello che strappa più ohhhh! Ecco quindi giustificato il tasso di umidità a dir poco tropicale dovuto all’eccessiva sudorazione degli astanti che è stato registrato allo stand Italjet dell’Eicma: colpa, l’attesissimo ritorno del Dragster.

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Citazione del pezzo cult degli Anni ’90 che, oltre a riproporre il telaio a traliccio, sfoggia il fantomatico monobraccio… Attenzione però, anche se questa soluzione fa subito pensare a prestazioni estreme, il massimo esponente del curioso sistema di sospensione anteriore (per età e pezzi venduti) è tutt’altro che una bestia da piega. Anzi: trattasi della regina degli scooter, la Vespa. Corradino D’Ascanio, papà dell’icona Piaggio, riciclò l’idea del monobraccio direttamente dalle ruote degli aeroplani su cui aveva lavorato durante la Seconda Guerra Mondiale. E quella che in origine era una trovata per permettere cambi gomma semplificati (quindi una soluzione votata alla praticità), col tempo assume una connotazione sempre più raffinata e sofisticata.

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Ecco l’evoluzione. In pillole. Ducati Cruiser, uno scooterone anni ’50 di 175cc, innovativo e costoso (l’avviamento era elettrico e il cambio era un automatico a due marce), ma non ebbe successo. Passò ugualmente alla storia per essere uno dei due scooter prodotti a Borgo Panigale.

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Negli anni ’70 la Elf entra nel motomondiale con un team tutto suo, e lo fa in grande stile con una moto rivoluzionaria: la Elf X, con monobraccio anteriore e posteriore, e sviluppata con Honda. Che, grazie all’indebitamento del team, riesce a portarsi a casa i brevetti della raffinata sospensione. Da notare anche la livrea nera con i dettagli rossi, che farà scuola vent’anni dopo.

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La Gilera 125 CX, moto icona del periodo d’oro dell’ottavo di litro (quando a 16 anni potevi guidare roba con più di 30 cavalli e fino a 7 marce). In quel mondo lì di Aprilia AF1, Cagiva Mito (la 916 di noialtri), Gilera SP01 e Honda NSX (che per assurdo era la meno sexy di tutte), la Casa di Arcore butta fuori anche questo esercizio di stile che spiazza tutti. Il pezzo forte? Quella carena integrale da cui sbucano due monobracci, quello dietro e, soprattutto, quello davanti con tanto di disco da 300mm.

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Al Salone di Tokyo i giapponesi di Yamaha presentano un prototipo, che è una vera e propria dichiarazione d’intenti. Si chiama Morpho, ha una linea adeguata al nome e un monobraccio che scalpita per entrare in produzione. Cosa che succede pochi anni dopo con la GTS1000 che lascia tutti a bocca a aperta. La soluzione avveniristica per una tourer sportiva si traduce va in una maggiore stabilità in frenata (disponibile anche con ABS), ma che non giustificava l’importante aumento di prezzo.

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