America chiama Italia/1: in USA il design è italiano

America chiama Italia/1: in USA il design è italiano

All’inizio degli Anni ’50 i jet di linea, i calcolatori, la tecnologia domestica e gli studi sui voli spaziali mettono in orbita l’America. Nell’universo dell’Automobile si immaginano auto volanti, missili a quattro ruote che sfrecciano sulle autostrade del futuro e bolidi supersonici. Gli americani sono fantasiosi ed estrosi, creano concept e prototipi per galvanizzare il pubblico. Ma non possono fare a meno degli stilisti e carrozzieri italiani, gli unici capaci di dare un minimo senso – e stile – ai loro ‘voli pindarici’. Ecco le principali auto da sogno, pensate in America ma nate grazie al genio italiano nel design.

De Soto Adventurer I

De Soto Adventurer I

DE SOTO ADVENTURER I e II GHIA 1954. La Corvette C1 del ‘54 getta lo scompiglio e mette in moto la concorrenza. De Soto sviluppa il prototipo di una coupé sportiva e incarica il suo designer Virgil Exner dello stile. Questi concepisce una forma burrosa ma, sostanzialmente, proporzionata, la cui realizzazione è affidata alla Ghia di Torino. La De Soto Adventurer I è una Jessica Rabbit con fianchi larghi e cosce possenti, una concept che strizza l’occhio alle GT europee. La calandra trapezoidale a forma di grande griglia a trama fitta ‘incassata’ nel frontale si integra con il ‘carnoso’ paraurti. Gli scarichi laterali sono molto aggressivi e vicini allo stile di un’auto da corsa. La coda compatta è prominente e somiglia al posteriore della Viper. Parte del management della De Soto spinge per la produzione ma il flop i vendita della Airflow convince a non rischiare.

De Soto Adventurer II

De Soto Adventurer II

Virgil Exner viene incaricato di elaborare un secondo concept. Questi prende spunto da Savonuzzi e dalla forma ‘Supersonic’ per portarla all’estremo. Nasce la Adventurer II, allestita su telaio Chrysler Imperial e dotata di V8 Hemi da 4,5 litri. Tra le sue peculiarità figura anche il lunotto scorrevole che la trasforma in una specie di convertibile. Dopo alcuni eventi dimostrativi viene acquistata da Re Mohammed V del Marocco. Passa poi a un diplomatico americano e da questo ad altri proprietari fino al 2012, quando viene venduta all’asta per 1,4 milioni di dollari.

Hudson Italia Touring

Hudson Italia Touring

HUDSON ITALIA TOURING 1954. Per spingere le vendite della Jet ma contenendo i costi, la Hudson sviluppa un nuovo modello in collaborazione con la Touring. Un esemplare completo della Jet viene spedito a Milano mentre il designer della Casa di Detroit, Frank Spring, lavora a stretto contatto con Carlo Felice Bianchi Anderloni. Touring crea una carrozzeria in alluminio in un solo pezzo, allestita su un telaio tubolare mosso da un sei cilindri da 3,3 litri di cilindrata per 112 cv.

Hudson Italia Touring

Hudson Italia Touring

Lo Stile è fuori dall’ordinario: parabrezza monopezzo avvolgente, montanti anteriori verticali, prese d’aria funzionali sopra i parafanghi anteriori e luci posteriori create da finti tubi di scarico simili a canne d’organo. Le porte anteriori, ‘entrano’ nel tetto offrendo un più agile ingresso in abitacolo e, infine, il piano di seduta è di ben nove pollici più in basso rispetto a una Hudson Jet, a vantaggio del baricentro. La nuova Super Jet ha due soli posti ma un grande spazio di carico posteriore. Pubblico e critica hanno opinioni contrastanti, la strategia di vendita non è incisiva, soprattutto per le difficoltà finanziarie dell’azienda, che nel ’55 si fonde con la concorrente Nash. La produzione è di soli 26 esemplari.

Chevrolet Corvette Scaglietti

Chevrolet Corvette Scaglietti

CHEVROLET CORVETTE SCAGLIETTI 1958. Gary Laughlin, proprietario di alcuni concessionari Chevrolet, è anche pilota gentleman e amico di due leggende: Jim Hall (fondatore della Chaparral) e Carroll ‘Mr. Cobra’ Shelby. Laughlin rompe in gara il motore della sua Ferrari Monza ma il costo della riparazione è troppo e levato. Si rivolge agli amici per trovare un’alternativa alle costose (e non sempre robuste) Ferrari. Poiché Hall lavora a stretto contatto con Chevrolet e Lughlin stesso conosce il giornalista Peter Coltrin, esperto dell’ambiente sportivo italiano, viene aperto un corridoio con Sergio Scaglietti per sviluppare una Corvette ‘italiana’: stile del Bel Paese ma robustezza e affidabilità americane. Nonostante l’impegn0 di Scaglietti con Ferrari, tre telai Corvette sono prelevati dallo stabilimento di St. Louis e portati a Modena dove inizia lo sviluppo. Lo stile della Corvette Scaglietti riprende la Ferrari 250 Tour de France: lungo frontale con fari carenati, la tipica calandra ellittica della Carrozzeria e una coda compatta fastback. In questo caso, però, il posteriore termina con una forma tondeggiante laddove la vettura di Maranello esibisce le classiche pinnette. Ci vogliono ben diciotto mesi per allestire la prima Corvette Scaglietti e, come se non bastasse, Laughlin si lamenta della qualità e la finitura. Al punto che decide di portarsi in America gli altri due telai. Il progetto viene tuttavia bloccato quando Carroll Shelby, che aveva il patrocinio della Ford, subisce pressioni da General Motors. Vengono costruite, in totale, solo tre unità.

Cunnigham C3 Vignale

Cunnigham C3 Vignale

CUNNINGHAM C3 VIGNALE 1952. Briggs Cunningham inizia da giovane a interessarsi alla vela. Nei primi Anni ’30 passa alle corse d’auto, prima come pilota, poi come boss della sua scuderia. Il suo team è protagonista delle gare nazionali dell’SCCA ma l’ambizione porta alla conversione del team sportivo in un vero e proprio marchio costruttore per correre in Europa (in particolare a Le Mans). Dopo le partecipazioni nel ’50 e ’51 con la C1 alla classica francese con risultati alterni, per il ’52 si studia un approccio tutto nuovo grazie all’appoggio della Chrysler. I regolamenti sportivi impongono di produrre un modello in almeno venticinque unità stradali perciò il progetto viene ripensato più in grande.

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Per la nuova Cunningham C3 vengono progettati un telaio da corsa, un generoso V8 Hemi e un vestito elegante e fascinoso. L’azienda non ha abbastanza capacità produttiva perciò è necessario (oltreché utile) rivolgersi all’estero. La scelta cade su Vignale, all’epoca tra i più quotati. Giovanni Michelotti disegna un corpo vettura ispirato alle Ferrari del periodo, in particolare alla 250 S. I volumi hanno grande fascino pur risentendo delle mastodontiche proporzioni della meccanica americana. La potenza è di circa 220 cv. La produzione è molto lenta poiché la meccanica deve essere spedita in Italia. Complessivamente sono costruiti, tra Coupé e Convertibile, diciannove esemplari.

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