Ariel Atom: la storia di un esoscheletro volante

Ariel Atom: la storia di un esoscheletro volante

Nel 2000 il mondo degli sfilatini cambia: Caterham, Donkervoort, Radical, persino Lotus drizzano le orecchie e aguzzano lo sguardo, principalmente per capire che diavolo sia arrivato sul mercato. Il peso di un tappetino del mouse, l’aspetto di un insetto incrociato con un telaio incompleto e un nome primordiale, per non parlare delle specifiche tecniche allarmanti; la Ariel Atom un quarto di secolo fa (come sentirsi vecchi!) lasciava perplessi persino i ricercatori del paranormale. Le origini di questo oggetto nato prevalentemente per i trackday risalgono al 1991, quando Simon Saunders fondò la Solocrest (in seguito divenuta Ariel Motor Company) per creare una vettura ispirata alla mitica Seven.

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SEMI NUDA. La Ariel sforna quello che ancora oggi è il suo cavallo di battaglia proprio nel 2000, una sorta di esoscheletro con le ruote dall’aspetto alieno ancora oggi. Il telaio tubolare è a vista quasi completamente, non ci sono portiere, tetto o parabrezza, se non un piccolo deflettore opzionale; è caldamente suggerito – pena il rischio di prendersi un calabrone o un sasso in faccia – l’uso di un casco. Le caratteristiche della Atom la rendono estremamente leggera (tra i 5 e i 7 quintali), di conseguenza potrebbe essere veloce anche con poca potenza… invece è pure ben cavallata.

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UN CRESCENDO DI PAZZIA. Già la prima Atom ha un Rover Serie K – rubato alla Elise S1 – che può arrivare a 190 cavalli, mentre la Atom 2 introduce un 2.0 Honda con compressore volumetrico da 300 cavalli. Su quel peso da primula la Atom vola, lo 0-100 si stacca in poco più di tre secondi e nel misto ben poche supercar sarebbero tranquille e serene. Per esagerare la Ariel presenta nel 2008 la Atom 500 dotata di cerchi in magnesio, cambio sequenziale Sadev, parti in carbonio e… un V8 da 500 cavalli. Follia. Varie evoluzioni seguenti ci conducono alla 3.5R (0-100 in 2,6 secondi e 250 orari di punta), alla 3S (turbo, per il mercato americano) e alla 4, con il motore sovralimentato della Civic Type R FK8.

LA PIÙ FEROCE DI TUTTE. La Atom turbizzata perde parte della poesia aspirata ma guadagna prestazioni ancora più esplosive, anche se il punto dello sfilatino inglese sono soprattutto le emozioni che trasmette: la visceralità di guida, l’aria che vi arriva addosso ovunque, il vedere le sospensioni – tarate da Lotus – al lavoro mentre state puntando quello specifico cordolo o punto di corda. L’evoluzione estrema della Atom è stata presentata da poco e si chiama 4RR, dove la doppia R fa già capire che sono cavoli amari per tutti. Per i 25 anni del modello Ariel non è stata indietro: aerodinamica da formulino, 525 (!) cavalli, ammortizzatori Ohlins regolabili, impianto frenante AP Racing e sei quintali e mezzo di pura pazzia.

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ACQUISTI EMOTIVI. Una Atom ovviamente costicchia, seppur meno di quanto potreste pensare. Ok, l’esborso economico è leggermente diverso da quello di una Panda TwinAir ma contando le prestazioni praticamente da hypercar il giocattolo della Ariel ha quasi senso. In Italia è semi impossibile trovare una Atom, all’estero molto più facile, soprattutto se vi rivolgete alla casa madre stessa e al suo reparto ‘usato’: si vai da poco più di 45.000 euro per una Atom 3 300 agli oltre 100.000 per una Atom 4 350 – così cattiva che faticate a capire come faccia ad essere stradale – con gomme e sedili da trackday e prestazioni da Pagani o McLaren. Le Atom saranno anche giocattoli, ma con loro ogni viaggio diventerà un’avventura unica.

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