Berline impossibili: a 300 km/h con quattro porte 2

Berline impossibili: a 300 km/h con quattro porte 2

Il tema della ‘Berlina impossibile‘ è anacronistico e affascinante. Nei primi Anni ’60 ci prova la Lagonda Rapide guardando all’Aston Martin DB4. Nel ’64 ecco un primo ‘serio’ esempio: la Maserati Quattroporte di Frua con un corposo V8. La concorrenza ha poco feeling con il tema: Lancia non va oltre la raffinatezza della Flaminia, quella delle Alfa Romeo 2000 e 2600 berlina è una sportività solo ideale. BMW e Mercedes manco ci pensano. Ma quando cominciano gli Anni ’80 iniziano a tendersi i nervi del desiderio. Che significa Berlina ‘impossibile’? Secondo noi è scostumata, incoerente, ma soprattutto veloce. La chiamiamo berlina ma nel suo intimo ha un’altra natura, parla un’altra lingua. Eccone altre quattro che incarnano alla perfezione questa definizione.

Lotec Ambassador

Lotec Ambassador

LOTEC AMBASSADOR 1985. Se in Giappone riescono a dedicare un’intera rivista (quindi c’è un team editoriale al completo che amministra un periodico) a un solo modello (in questo caso la Nissan Skyline) si può cogliere il grado di passione e di lucida follia del popolo nipponico. Ed è proprio la passione che a metà Anni ’80 muove il desiderio di un direttore di banca giapponese, che vuole rendere la sua Mercedes W126 una macchina maiuscola. Appunto: una berlina impossibile. Si rivolge alla Lotec GmbH di Kolbermoor (quella che costruisce la TT 1000 da mille cavalli e la Sirius da 380 orari) e affida a Kurt Lotterschmitt la sua 560 SEL. L’otto cilindri M117 riceve due turbo ed è pompato a 550 cavalli e oltre 800 Nm di coppia massima. Le fonti indicano in 275 km/h la punta velocistica del nuovo incrociatore teutonico. Gli interni vengono riconfigurati in chiave extra lussuosa. Il design viene aggiornato e trasformato nell’ottica dell’unicità. La nuova Lotec Ambassador (o Ambassadeur) acquisisce una personalità tipicamente Rolls ma al sapore di würstel e crauti. Affascinante? Ai posteri l’ardua sentenza.

BMW 767iL V16

BMW 767iL V16

BMW 767iL E32 16 CILINDRI ‘GOLDFISH’ 1987. Nei tardi Anni ’80 BMW lancia la scalata a Mercedes-Benz e si lancia nel faraonico programma di costruire un modello che superi, per qualità di esclusività, di gran lunga la 750i della gamma e32. Niente di più semplice: aggiungere cilindri al V12 M70! Il cuore del progetto ‘Goldfisch‘ (Goldfish) è un monumentale sedici cilindri ottenuto con l’aggiunta di altri quattro pistoni al dodici cilindri M70. Si ottiene così un unità ‘panzer’ da 6,67 litri cui sono aggiunti anche due turbo per ottenere ulteriori cavalli. L’allestimento del prototipo, in rapporto alla complessità del progetto e dell’obbiettivo (ci lavorano in tre: Karlhienz Lange, Adolf Fischer e Hanns-Peter Weisbarth) dura pochi mesi ma il risultato è deludente. La BMW 767 iL E32 biturbo 16 cilindri eroga meno di 410 cavalli e ha richiesto lo sviluppo di un sistema di raffreddamento ad hoc per il suo enorme motore. Questo ha comportato l’allestimento di due gigantesche prese d’aria sui fianchi posteriori. L’epilogo è laconico: progetto concluso sul nascere e la mega BMW Serie 7 con sedici cilindri finisce in cantina. Più ‘berlina impossibile’ di lei…

Chrysler Lamborghini Portofino

Chrysler Lamborghini Portofino

LAMBORGHINI PORTOFINO. La mega-berlina Estoque non è (purtroppo?) diventata realtà. Il Toro, del resto, fin dalla favolosa 350 GTV del ’63 ci ha abituati alle sue visioni mistiche. Nella seconda metà degli Anni ’80 il marchio di Sant’Agata ha compiuto un salto nel futuro eccezionale proprio sul tema della ‘berlina impossibile’. Nel 1986 Kevin Verduyn, progettista di Chrysler, è l’artefice del concept Navajo che, però, non va mai oltre il manichino. Ma il suo destino non si compie con quelle fattezze poiché l’anno successivo il Gruppo acquista Lamborghini. Si racconta che il Vice-Presidente Bob Lutz riponesse fiducia in Verduyn e su questo presupposto gli commissiona una concept a marchio del Toro in vista del Salone di Francoforte del 1987. Su un telaio Jalpa (quindi con il suo V8 3.5 posteriore) allungato di quasi 70 centimetri viene concepita una carrozzeria bassa e affusolata senza montante centrale. Ma il bello di questa berlina aerodinamica con quattro posti, chiamata Portofino, è senza dubbio nelle porte: le anteriori si aprono come quelle della Countach, le posteriori all’indietro. Il prototipo, molto futurista nel concetto, è completamente marciante. Debutta a Francoforte ma in seguito partecipa ad eventi in tutto il mondo e nelle esibizioni supera abbondantemente 200 orari. A fine Anni ’80 viene distrutta durante un trasporto ma negli Anni ’90 è stata ricostruita.

Brabus Mercedes W126

Brabus Mercedes W126

BRABUS MERCEDES W126. Ogni anno è normale fermarsi, al Salone di Ginevra, allo stand Brabus e dare un’occhiata alle sue mostruose creazioni da 7-800 cavalli, la coppia di un trattore e la personalità di un demone stradale. Chi mai, negli Anni ’80, avrebbe osato circolare con un mostro simile per le vie del centro di una grande città? Magari Elliot Silverstein, regista dell’horror movie ‘La macchina nera‘ del ’77, sì. È sufficiente osservare la Classe S di queste immagini per apostrofarla come una ‘berlina impossibile’… Si tratta della Mercedes W126, by Brabus, la più demoniaca delle berline della Stella di Stoccarda. Attingendo a piene mani alla propria creatività e al gusto più sfrenato la preparazione poteva riguardare l’estetica come la meccanica. Le immagini di questo esemplare ricavato da un catalogo del periodo rivelano la sua personalità: carrozzeria in ultra total black (anche la targhetta posteriore; sono fatte salve le serrature delle portiere), cerchi da 16”, scudi paraurti. Le generalità della meccanica non sono note. L’immagine di catalogo la descrive come una 560 SEL portata a sei litri di cilindrata (e chissà quale mostruosa potenza). Qualche anno fa è comparsa in vendita in un catalogo online di aste una sedicente ‘Brabus’ 1000 SEL con meccanica di serie della 500.

 

 

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