#bigwednesday. Ken Miles (e la sua Ford GT40)

#bigwednesday. Ken Miles (e la sua Ford GT40)

Siamo certi che fino all’interpretazione di Christian Bale in Le Mans 66 – La Grande Sfida il nome di Ken Miles non fosse famoso – alle nostre latutidini – come oggi. Roba da appassionati di motorsport, per intenderci. Ken Miles doveva essere un tipo tosto, uno che amava correre più di ogni altra cosa. Per noi un antieroe, e tra poco capirete perché.

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DALL’OFFICINA ALLA PISTA. Nato nel 1918 a Coldfield nei pressi dell’industriosa Birmingham, si appassionò al mondo dei motori da giovanissimo. Nel 1933, a quindici anni, cominciò a lavorare alla Wolsely Motors come apprendista meccanico e, nello stesso anno, acquistò la sua prima auto: una Austin 7 Special con la quale diede inizio alla sua carriera nelle corse automobilistiche. Ken Miles tuttavia era uno di quelli che interpretava le corse come fossero un passatempo. Ai quei tempi infatti correre per lavoro era ben diverso rispetto a oggi: i guadagni erano risicati e nonostante la gare a cui partecipare fossero molte, le possibilità di morire erano dietro l’angolo. Non era il classico bello o un frequentatore del jetset; era un pilota, piuttosto, che aveva affrontato la morte a testa alta e senza mai sottovalutarla, perché l’aveva vista da vicino servendo l’esercito britannico nella Seconda Guerra Mondiale. Aveva preso parte al D-Day come comandante di un’unità, pilota di carro armato. Conducendo, tra gli altri, un blindato dal nord della Francia a Berlino sotto il fuoco dei panzer e dell’aviazione tedesca. 

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I SUCCESSI IN AMERICA. Ad ogni modo, fu dopo la guerra che Ken Miles cominciò a correre professionalmente con le auto. Nel 1951 decise di trasferirsi negli States dove cominciò a lavorare come meccanico per la Gough Industries di Los Angeles. Come negli anni precedenti in Inghilterra, Miles cominciò a prendere parte ad alcune gare locali, partecipando con una MG TD da lui stesso preparata. Le vittorie non tardarono ad arrivare e di conseguenza le attenzioni, non solo degli spettatori, ma anche di alcuni team che correvano in diversi campionati. Oltre che per i risultati in pista, infatti, Ken Miles si era fatto notare anche per le sue singolari capacità tecniche: celebre per esempio fu il particolare swap del motore e del cambio di una Porsche 550 Spyder su una Cooper, per questo soprannominata The Pooper, con cui si impose sui suoi avversari in molte occasioni e con cui ottenne il nono posto assoluto nella 12 Ore di Sebring del 1957. A cavallo tra le fine degli Anni ’50 e ’60, Miles ottenne molti altri successi correndo con le vetture di maggior rilievo di quei tempi come la Jaguar D-type e la Porsche 718 RSK, con cui ottenne l’ottava piazza a Sebring nel ’58, e la vittoria nel campionato statunitense USAC nel 1961; una prima per un pilota straniero.

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SHELBY. La svolta della sua carriera arriva nel 1962: nonostante il suo carattere indocile, Carroll Shelby lo ingaggia per diventare un pilota-collaudatore del suo team la Shelby-American. L’inglese comincia così a correre regolarmente con le Cobra e contribuisce allo sviluppo delle versioni stradali dell’auto. Negli anni dell’era Shelby, Ken Miles porta le Cobra al successo ottenendo al primo debutto un undicesimo posto alla 12 Ore di Sebring e la prima vittoria a Lake Garnett. E nel 1964 il primo debutto alla 24 Ore di Le Mans in coppia con Bob Holbert.

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FORD-FERRARI. Arriva il 1965: l’impossibilità della trattativa di acquisizione della Ferrari da parte della Ford fa nascere una delle rivalità più importanti nella storia dell’automobilismo. Enzo Ferrari, dopo aver notato nella proposta degli americani delle grosse limitazioni nella gestione del reparto corse, aveva rifiutato malamente gli accordi; per ‘ripicca’ Henry Ford II aveva deciso di investire tutte le sue forze – e soprattutto le sue finanze – per creare un’auto capace di battere la Ferrari in corsa. Non avendo a listino nessuna sportiva e mancando di esperienze del motorsport, per creare un’auto da corsa vincente la Ford decide di affidarsi a Carrol Shelby che, con le sue Cobra, aveva battuto sia le Corvette sia – soprattutto – le Ferrari in alcune gare statunitensi valevoli per il mondiale delle vetture sport. Shelby viene così messo a capo dello sviluppo del progetto GT40, e Ken Miles diventa il principale pilota collaudatore. Vengono subito apportate diverse migliorie alla prime due versioni della GT40 (mkI e mkII) che manifestavano forti problemi di deportanza aereodinamica e di surriscaldamento ai freni. Il frutto del lavoro si manifesta l’anno seguente: la GT40 ‘aggiustata’, tra le emani di Ken Miles ottiene due successi in meno di due mesi, conquistando un primo posto alla 24 Ore di Daytona e alla 12 Ore di Sebring in coppia con Ruby.

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VITTORIA ‘SOFFIATA’. Ma la gara più attesa della stagione è Le Mans. Un’edizione, quella del 1966, elevata dalla storia al rango di leggenda. Ken Miles parte secondo in coppia con Denny Hulme, un neozelandese che aveva sostituito lo sfortunato Ruby (reduce di un incidente aereo). A causa di un contatto al primo giro Ken è subito costretto a rientrare al box, ma riprende velocemente la gara. Alla quarta ora riesce a guadagnare la prima posizione che mantiene fino alla sesta. Il colpo di scena avviene nella notte: le Ferrari si ritirano e Ken Miles si ritrova saldamente in testa. A questo punto Henry Ford II e i suoi dirigenti decidono di comunicare , ai tre team Ford in testa, un arrivo in parata per scattare una foto che dimostri la superiorità della casa americana a Le Mans. Nel frattempo l’inglese fa pure segnare il giro più veloce in gara e sembrava che non volesse rallentare, ma poco prima dell’ultima curva, si fa raggiungere dalle GT40 di McLaren e Bucknum. Le tre Ford tagliano il traguardo insieme. La vittoria tuttavia non viene assegnata a Miles: al suo posto trionfa McLaren in coppia con neozelandese Chris Amos perché, partiti quarti anziché secondi, avevano percorso più strada nell’arco di 24 Ore rispetto alle altre due Ford GT40.

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POCHI MESI DOPO LA TRAGEDIA. La mancata Triple Crown, causata dalla beffa di Le Mans lascia l’amaro in bocca a Ken Miles che tuttavia continua a sviluppare il progetto GT40. E proprio durante delle prove a Riverside della nuova GT40 mkIII, nell’agosto del ’66 la tragedia: Ken perde il controllo della vettura a causa di un guasto tecnico e nonostante i soccorsi purtroppo non c’è nulla da fare per il campione britannico. Perché gli uomini rischiano così tanto? Cosa c’è dietro? Ken Miles avrebbe potuto rispondere così: “Preferisco morire in un auto da corsa facendo quello che amo, piuttosto che essere divorato da un cancro”. Sportivamente parlando, uno dei nostri antieroi del cuore. (Testo: Andrea Casano)

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