#bigwednesday: Nigel Mansell, Leone d’Inghilterra

#bigwednesday: Nigel Mansell, Leone d’Inghilterra

Nigel Mansell è uno di quei piloti che ha lasciato il segno nella storia Formula 1: nel cuore degli appassionati è rimasto impresso non soltanto per il mondiale vinto nel 1992, ma sopratutto per la sua personalità e per il suo stile di guida combattivo. Stile che lo rese amato sugli spalti e, allo stesso tempo, criticato da alcuni piloti della Formula 1 che lo definivano spesso irruentepoco incline a leggere la gara o – peggio ancora – privo di tecnica. Tattica e strategia in effetti non erano il piatto forte del suo weekend di gara; a queste Mansell preferiva la pura velocità e i duelli all’ultima staccata. Per questo motivo gli venne attribuito il soprannome Leone d’Inghilterra. Furono molte le pole e i podi conquistati da Mansell, seppur inferiori ai numeri degli altri grandi eroi con cui condivideva i weekend di gara: piloti del calibro di Villeneuve, Rosberg, Piquet, Prost, Senna, Schumacher. Il miglior modo per sintetizzare le tipicità di guida del pilota inglese è stato espresso da Ayrton Senna: “Mansell è l’unico pilota che, se ti attacca, ti compare contemporaneamente in entrambi gli specchietti retrovisori”.

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PASSIONE E DURO LAVORO. Nigel Ernest James Mansell nasce nel 1953 in un piccolo villaggio del Worcestershire nei pressi di Birmingham. La passione per le corse scorre nelle vene fin da piccolo, ma nonostante i suoi sogni non approda velocemente alla carriera agonistica come spesso accade per alcuni piloti di Formula 1. Durante la gioventù Mansell dovette lavorare per autofinanziarsi in alcune gare di kart, appuntamenti che non mancava mai; dopo anni di sacrifici, nel 1976 (a 23 anni) Mansell decise di investire nella sua prima auto da corsa per prendere parte al campionato britannico di Formula Ford. Gli bastarono poche gare per farsi notare: era spettacolare e veloce; così, alla seconda stagione (1977), arrivò il successo in campionato nonostante la frattura del collo in un brutto incidente in qualifica. L’anno successivo per Mansell si aprì una nuova opportunità: la March Engineering lo ingaggiò in Formula 3, ma nonostante le grandi sue grandi abilità, i costi elevati e la mancanza di sponsor lo costrinsero al ritiro dopo appena quattro gare. Fu un momento assai critico; dovette vendere la casa (che aveva ipotecato per poter correre) e lavorare come garzone, ma passione e determinazione non si spensero mai.

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LA GRANDE CHANCE. La situazione migliorò nel 1979, quando ottenne un contratto con il team della David Price Racing in Formula 3, che gli offrì uno sponsor e anche uno stipendio. Con la DPR arrivarono i primi successi; e anche una vittoria straordinaria in una piovosa Silverstone. Pochi mesi dopo, in occasione del Gran Premio di Monaco, arrivò la svolta più importante della sua carriera: qualcuno del grande circus lo aveva notato. Purtroppo a poche gare dalla conclusione di stagione, Mansell ebbe un altro grave incidente a Oulton Park e finì ricoverato all’ospedale con delle vertebre fratturate, ma mentre era ancora in convalescenza, quel signore che lo aveva notato mesi prima nel Principato, un ‘certo’ Colin Chapman, lo chiamò (insieme agli altri piloti Elio De Angelis, Eddie Cheever e Jan Lammers) per un test con la Lotus di F1 al circuito Paul Ricard. Per la stagione 1980 Chapman era alla ricerca di un pilota da affiancare a Mario Andretti al posto di Carlos Reutemann, in partenza verso la Williams. Mansell non si lasciò scappare l’occasione e prese parte ai test, nonostante fosse ancora tormentato dai dolori. Alla fine Chapman scelse Elio De Angelis come successore dell’argentino, ma offrì a Mansell un contratto come collaudatore delle monoposto inglesi e un sedile sulla monoposto Lotus di Formula 2 per la stagione 1980. Grazie alle sue abilità il pilota inglese si guadagnò in fretta la fiducia della Lotus: le ottime prestazioni nella prima parte di stagione in Formula 2 – con il debutto del motore Honda – e la vittoria sfiorata a Hockenheim, convinsero la scuderia inglese a schierare una terza vettura nella seconda parte del campionato di Formula 1 per Mansell. Il debutto nella massima categoria tuttavia non fu semplice: la monoposto, la Lotus 81B, non era competitiva ma Mansell riuscì lo stesso a sorprendere Chapman, che a fine stagione decise di promuoverlo in sostituzione di Mario Andretti, trasferitosi all’Alfa Romeo.

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RISULTATI INSODDISFACENTI. Le quattro stagioni dal 1981 al 1984 con la Lotus, a parte qualche sporadico podio, furono prive di soddisfazioni. Se il campionato 1981 fu condizionato dalla poca competitività della Lotus 81B-Ford, una vettura che faticava a tenere il passo di altre squadre e con la quale Mansell riuscì a ottenere solto un podio (terzo a Zolder nel GP del Belgio, 17 maggio 1981), le stagioni 1982 e 1983 furono probabilmente le peggiori della sua carriera. La rottura del polso al GP del Canada del 1982 prima e la morte di Chapman l’anno seguente (che scombussolò lo stato psicologico del pilota inglese) relegarono Mansell a piazzamenti insoddisfacenti in classifica anche in confronto al suo compagno di squadra. Le cose cambiarono nel 1984 quando iniziò a evidenziare una notevole crescita con buoni risultati come il terzo posto in Francia e Olanda e grandi imprese (non sempre a buon fine) come quando – sotto al diluvio di Montecarlo – prese il comando della gara per poi schiantarsi contro le barriere. Tuttavia l’avventura alla Lotus era al capolinea e per la stagione 1985, la Lotus decise di ingaggiare al suo posto l’astro nascente brasiliano rivelatosi proprio a Montecarlo, Ayrton Senna.

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L’ARRIVO ALLA WILLIAMS. Ma un altro team inglese era pronto a ‘metterlo in macchina’: è la Willimas che lo vuole affianco a Keke Rosberg. Mansell accettò subito sebbene se non vi fosse alcuna certezza nei risultati, in quanto in quegli anni il team Williams, seppur tra i migliori, si trovava in grosse difficoltà tecniche date dallo sviluppo del nuovo propulsore turbo della Honda. Inizialmente la prestazione di Mansell alla Williams rimase più o meno la stessa di quella ottenuta in Lotus e nella prima parte del campionato venne sovrastato dal compagno di squadra Rosberg. Tuttavia dopo il violentissimo incidente di cui fu vittima al Paul Picard, il Leone affilò i denti e nella seconda parte della stagione fece il salto di qualità: a Spa in condizioni difficilissime, Mansell si rende protagonista di un entusiasmante duello con Rosberg, riuscendo alla fine ad avere la meglio sul compagno di squadra e chiudendo in seconda posizione. Era solo la prima avvisaglia di quello che sarebbe successo due settimane dopo a Brands Hatch: Mansell ottiene la prima vittoria della sua carriera e il successo viene replicato anche nel penultimo appuntamento sudafricano. Ormai era chiaro a tutti che l’inglese aveva la stoffa per potersi misurare coi grandi.

Keke Rosberg (sulla sinistra) Nigel Mansell (sulla destra)

Keke Rosberg (sulla sinistra) Nigel Mansell (sulla destra)

IL MONDIALE SFUGGE. La stagione 1986 prese il via con l’abbandono di Rosberg per la McLaren e l’arrivo al suo posto del due volte campione del mondo Nelson Piquet. Dopo un inizio di stagione non strabiliante, Nigel Mansell con il suo numero 5 colorato di rosso che in UK gli valse il soprannome di ‘Red Five’, iniziò a sfoderare quella grinta che nei suoi primi anni di carriera di F1 era stata solo sottintesa o forse nascosta: tra la fine di maggio e l’inizio di luglio 1986, il Leone si porta a casa quattro vittorie in cinque gare, vincendo in Belgio, Canada, Francia e Gran Bretagna al termine di un duello proprio con il compagno di squadra. Abbastanza per trovarsi in testa al mondiale a metà stagione. Al tempo stesso, però, cominciarono a diventare sempre più evidenti le rivalità nei box, con Piquet che si lamentò pubblicamente del pilota inglese e della gestione del team. Nel proseguo della stagione Mansell si aggiudicò ancora buoni piazzamenti e la vittoria del Gran Premio del Portogallo, presentandosi alla vigilia dell’ultima gara in Australia ancora in testa alla classifica mondiale ma solo con pochi punti di vantaggio sugli altri concorrenti in lotta per il titolo mondiale, +7 sul pilota della McLaren Alain Prost e +9 sul suo compagno-rivale Piquet. La gara di Adelaide però ebbe un esito infelice per la Williams: a 19 giri dal termine, Mansell, che era terzo dietro ai due rivali della Mclaren, fu costretto al ritiro dopo l’esplosione di un pneumatico. Con Piquet richiamato ai box per un prudenziale cambio-gomme, la gara e il titolo mondiale furono vinti da Prost e della McLaren. Il mondiale è perso, ma l’anno successivo sono ancora Mansell e Piquet – con la Williams FW11-Honda – i piloti da battere: il britannico vince ben sei GP (San Marino, Francia, Gran Bretagna, Austria, Spagna e Messico) il brasiliano i tre (Germania, Ungheria e Italia), ma nonostante il numero di vittorie a sfavore fu proprio Piquet a fregiarsi del mondiale 1987: Mansell fu infatti costretto a terminare anzitempo il mondiale a causa di un ennesimo grave incidente nel corso delle prove libere del penultimo Gran Premio del Giappone.

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CON LA ROSSA. La stagione 1988 tuttavia fu molto diversa da quello che ci si aspettava. I giapponesi della Honda probabilmente mal sopportando l’idea di vedere delle comode doppiette messe a rischio da una nuova guerra intestina tra Mansell e Piquet, decisero di cedere i propri propulsori alle lusinghe di Ron Dennis e della McLaren, peraltro prossima all’ingaggio del promettente Ayrton Senna. La Williams pertanto, rimasta senza motore, si ritrovò costretta a usare la poco competitiva unità della Judd, ma nonostante le premesse tutt’altro che incoraggianti, Mansell, forse, per amicizia e riconoscenza, rimase nel team. Come da pronostici il campionato si rivelò tutt’altro che favorevole e Mansell contò ben 12 ritiri su 16 gare (ne saltò anche un paio per guai fisici). Solo due furono le soddisfazioni per l’inglese: due splendidi secondi posti, di cui uno nella ‘sua’ Silverstone sul bagnato. Una cornice per altro perfetta per annunciare il suo passaggio alla Ferrari per la stagione ’89. Per competere contro McLaren e tornare ai vertici della categoria, la Ferrari aveva sviluppato la 640 F1, dotata del rivoluzionario cambio semiautomatico sequenziale, il primo nella storia della Formula 1. La 640 si rivelò veloce fin da subito, ma malgrado il lungo e meticoloso sviluppo si rivelò poco affidabile e in quella stagione i ritiri furono molto frequenti per entrambi i piloti della Scuderia di Maranello. Fuori dalla lotta per il titolo, Mansell ebbe nuovamente poche soddisfazioni come la rimonta dalla dodicesima posizione in Ungheria dove l’inglese firmò un sorpasso epico proprio ai danni di Senna. Mansell avrebbe potuto vincere l’anno dopo nel 1990, ma l’arrivo di un compagno di squadra scomodo come Alain Prost – stanco di una McLaren ormai concentrata solo su Senna – lo danneggiò a livello psicologico; il rendimento del britannico calò vertiginosamente e la stagione si concluse con una sola vittoria in Portogallo ‘infangata’ tra l’altro da alcune polemiche, con l’inglese accusato di aver stretto contro il muretto dei box Prost la durante la partenza, facendo passare avanti le due McLaren di Berger e Senna in lotta per il mondiale.

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IL RITORNO ALLA WILLIAMS. Si chiuse così l’esperienza in Ferrari, ma il Leone non si ritirò, e nel 1991 fece ritorno alla Williams, pronta a rimettersi in gioco grazie ai nuovi motori Renault ufficiali e a una vettura disegnata dal giovane e talentuoso, Adrian Newey. La stagione 1991 iniziò male per Mansell con tre ritiri consecutivi e un’iniziale mancanza di feeling con la Williams FW14, ma ancora una volta nella seconda parte di stagione Mansell progredì vincendo consecutivamente in Francia, Gran Bretagna e Germania e arrivando a minacciare Senna per la lotta al titolo mondiale. Le gare furono sempre caratterizzate da un susseguirsi di sorpassi spettacolari e duelli indimenticabili fra questi due grandi piloti a bordo di due vetture molto competitive, sino al GP del Portogallo, quando per un errore della squadra che non gli avvitò una ruota al pit-stop, Mansell venne squalificato. Ancora secondo in classifica, Mansell al GP successivo in Giappone per rimanere il lotta per il titolo aveva bisogno di una vittoria ma al decimo giro fece un errore e uscì di pista. Si concluse così un’altra stagione del ‘quasi’ per Mansell, che anche in questo caso non riuscì a fare suo il tanto agognato titolo mondiale.

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FINALMENTE CAMPIONE. L’eterno incompiuto, però, si realizza finalmente nel 1992. La McLaren ha perso la supremazia tecnica e ormai il V10 Renault ha sopravanzato nelle prestazioni il motore Honda: la Williams FW14, all’epoca contrassegnata dalla versione B, risolti i problemi di affidabilità al cambio semiautomatico e dotata sospensioni attive, è veramente invincibile. Insomma, avendo per le mani una monoposto dotata di una superiorità schiacciante e un compagno di squadra fedele, Mansell è conscio che a 38 anni ha ancora poche occasioni per laurearsi campione del mondo. Così con la Williams FW14B Mansell fa segnare ben 14 pole position e  9 vittorie su 16 GP conquistando il Mondiale con ben cinque gare d’anticipo. È l’apoteosi per lui e per il motor sport britannico, che torna ad avere un Campione del Mondo sedici anni dopo James Hunt.

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L’ADDIO ALLA FORMULA 1. Nonostante il dominio assoluto, per il 1993 la Williams lo ‘tradisce’, mettendo contratto nientemeno che Alain Prost, rimasto a piedi dopo il burrascoso addio alla Ferrari. La prospettiva di dover condividere nuovamente il team col Professore e dopo alcune voci riguardo a un possibile passaggio alla Williams anche di Senna il britannico dice basta con la Formula 1 e se ne va da Campione del Mondo. Ma i successi non finiscono qua: Nigel si trasferisce negli States, dove vince il campionato Indy Car del 1993 al primo tentativo, ma il richiamo della F1 è troppo forte: nel 1994, ancora impegnato nelle corse americane, Mansell torna part-time sulla Williams prendendosi la soddisfazione di vincere il Gran Premio d’Australia e risultando alla fine determinante nella conquista del Mondiale costruttori per il team. Così a dispetto dei 41 anni, Mansell firma un contratto a tempo pieno per il 1995, ma Frank Williams e Patrick Head preferiscono puntare sul ventitreenne David Coulthard. Non ancora appagato, pur di continuare a gareggiare, Mansell si trasferisce alla McLaren. L’esperienza con la squadra di Woking si rivela, però, una scelta completamente sbagliata: salta le prime due gare della nuova stagione perché l’abitacolo è troppo stretto, e quando finalmente scende in pista a Imola e a Barcellona, deve constatare che la MP4/10 non è per niente competitiva. Ed è quello il momento in cui decide di appendere il casco al chiodo, preferendo chiudere anzitempo la stagione.

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NELL’OLIMPO DEI GRANDI. La sua carriera e il suo stile di guida combattivo e coraggioso ma al tempo stesso straffottente sono valsi a Nigel Mansell un posto nella storia della Formula 1 , ma oltre ai tanti spettacolari sorpassi, dove era sempre l’ultimo a mettere il piede sul freno, del Leone rimarrà per sempre immortale quell’immagine del GP di Dallas 1984, quando in occasione per terminare la gara dove aveva conquistato la sua prima pole spinse la sua monoposto guasta per un centinaio di metri sino al traguardo svenendo a terra, sfinito dalla corsa e da un caldo opprimente. Un episodio come forse non rivedremo mai più e che rappresenta la vera essenza delle corse ed in particolare del Pilota per cui correre e arrivare oltre la bandiera a scacchi significa davvero tutto. (Testo: Andrea Casano)

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Un commento su “#bigwednesday: Nigel Mansell, Leone d’Inghilterra”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    Lo ricordo nel primo mondiale perso quando con 12 punti di vantaggio su Piquet, nelle prove libere a Suzuka dopo aver scaricato tutta la potenza degli oltre mille cavalli del V6 Honda biturbo sopra il cordolo sporco, la Williams partì in sovrasterzo per schiantarsi contro le barriere.

    “Il motore non ragiona, il pilota sì.”
    Niki Lauda

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