Cesare Romiti, il duro che piaceva all’Avvocato

Cesare Romiti, il duro che piaceva all’Avvocato

Nel 1980 la Fiat è ferma. Letteralmente. Gli stabilimenti sono chiusi per colpa di uno sciopero che blocca l’azienda da più di un mese. In ballo ci sono 14000 posti di lavoro. Una di quelle sere infuocate, a Torino, un uomo esce di casa di nascosto, senza farsi notare dalle sue guardie del corpo che non avrebbero dovuto perderlo di vista neanche un secondo. La Fiat, che soffre ancora per l’onda lunga della crisi petrolifera, è pur sempre uno stato nello stato e gli Agnelli sono trattati, non solo dai giornali di gossip, come una famiglia reale. Per questo c’è preoccupazione nell’aria, perché là fuori, oltre agli scioperanti, potrebbero essere in agguato anche le Brigate Rosse, che prendono di mira simboli e persone. Eppure, una 131 scura esce dal garage di casa. A bordo c’è quell’uomo di prima che punta dritto su Mirafiori, passa davanti ai bivacchi degli operai e scuote la testa. “Ho visto dei gran falò e un sacco di gente che cantava, rideva e ballava. Francamente non mi sono sembrati operai in crisi per il lavoro”. Parola di Cesare Romiti. Quello in macchina è proprio lui, il Duro, che il giorno dopo riesce a organizzare una manifestazione per le strade di Torino in cui 40mila dirigenti attraversano la città per affermare il proprio diritto al lavoro. Alter ego di Gianni Agnelli, il manager romano viene da lontano. Nato nella Capitale nel 1923 aveva conosciuto guerra e fame. Nonostante la carriera che da Alitalia lo portò a Torino come braccio destro dell’Avvocato, e quindi in RCS, non aveva mai dimenticato la soddisfazione che gli aveva dato quel sacco di farina rubato in un deposito nazista durante l’occupazione.

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DIVERSIFICARE, DIVERSIFICARE, DIVERSIFICARE. Nel ’76, insieme a Umberto Agnelli e a Carlo De Benedetti, forma uno strano triumvirato destinato a durare pochissimo. Dal 1980 è già solo al comando della Fiat e ci rimane fino al ’98. Sotto di lui l’azienda abbandona il Lingotto, uno dei simboli della Fiat, porta a casa i capitali di Gheddafi (tanti) e, soprattutto, grazie a Ghidella (con cui non si annusa per niente e che anzi, costringe a mollare), nascono best seller come la Uno (presentata alla stampa internazionale nell’esotica Florida), l’immarcescibile Panda, la raffinata Y10 o i primi esempi di modelli con piattaforme condivise: Fiat Croma, Alfa Romeo 164, Lancia Thema e Saab 9000. Insomma, la Fiat torna a fare macchine che piacciono, vendono e, soprattutto, riportano in attivo l’azienda. Il dettaglio preferito di Romiti, visto che lui non è per niente autocentrico. L’unica fede che ha sono la Roma e i numeri: ama diversificare anche nella vita. Per questo, già nel ’91, punta a comprare la Chrysler e assicurarsi così un ritorno nel mercato più grande del mondo (scalata che sfuma per colpa di faide interne). Il suo modo di fare piace a Cuccia, il banchiere innamorato delle aziende, è lui che lo segnalò a Torino, dopo averlo visto all’opera. Romiti sopravvive a tutto, anche a Tangentopoli, che lo liquida con un ‘poteva anche non sapere’. Guarda con simpatia alla delocalizzazione, anche in quella Cina che nel 2006 lo fa addirittura cittadino onorario. In RCS, che fece comprare a suo tempo alla Fiat, arriva perché l’Avvocato ha deciso di andare in pensione e ormai a Torino regna Umberto. Che, come noto, non lo ama. Il suo sbarco nell’editoria viene salutato da Panorama con una copertina che, citando il tormentone di Pieraccioni, lo soprannomina il ciclone. Ma in realtà è un falso allarme, Gianni Agnelli ha un debole per i giornalisti e glielo fa presente. Al funerale dell’Avvocato, durante la messa sta in piedi tutto il tempo. “Era una cosa tra noi”. Gli ufficiali si salutano così.

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