Dalla guerra alle cucine dei maschi Alfa

Dalla guerra alle cucine dei maschi Alfa

Il secondo conflitto mondiale non è ancora terminato quando l’Alfa Romeo – il cui sogno industriale, dopo la conversione militare imposta dalla Grande Guerra, si è nuovamente spezzato – decide d’intraprendere una nuova avventura imprenditoriale: la produzione di infissi, tapparelle e cucine elettriche. Riporta la data del 6 luglio 1944 il complessivo di un ‘armadietto porta mestoli’ conservato nell’Archivio Storico Alfa Romeo. Un disegno tecnico che racconta di un’Alfa Romeo sconvolta dalla guerra ma ‘motore’ di un progetto d’espansione. Mentre le sue fabbriche non se la passavano bene. Dal 1940 al 1943, il centro industriale aeronautico di Pomigliano d’Arco, la fabbrica che nelle intenzioni del governo fascista avrebbe dovuto ridurre l’arretratezza bellica nazionale, non è l’unico bersaglio delle offensive aeree anglo-americane: anche lo stabilimento milanese del Portello, dove l’avventura dell’Alfa ebbe inizio nel 1910, viene ripetutamente colpito. In questi anni di straordinaria difficoltà, per sfuggire agli attacchi aerei nemici il RUK, ministero per la produzione bellica germanico, trasferisce i reparti di produzione dell’Alfa Romeo e costruisce due stabilimenti sotterranei, entrambi demandati alla produzione di motori aerei per la Daimler-Benz: le officine C, allestite nelle grotte di Costozza, nel Vicentino, e le officine X, nascoste in una galleria autostradale nei pressi di Riva del Garda.

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IL GRANDE PASSO. La scelta da parte dell’azienda di avviare una serie di produzioni alternative in tempi così bui può apparire singolare, ma al contempo è indicativa di una progettualità che guarda alla fine del conflitto con un certo ottimismo. I successi sportivi degli anni Venti e Trenta sono ancora un motivo d’orgoglio, ma appaiono come un ricordo lontano ai dirigenti e agli operai di una fabbrica che deve ripartire da zero. Per rimettere in ordine i propri conti, l’Alfa Romeo non può più affidarsi alla produzione di poche costosissime auto sportive destinate a clienti facoltosi. La casa del Biscione, sull’esempio delle altre imprese automobilistiche europee, deve compiere il grande passo e trasformarsi in una grande industria, aumentando i propri volumi produttivi e costruendo macchine più economiche: soltanto così può rialzarsi e diventare una forza trainante dell’industria italiana.

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LA RICETTA PER LA RINASCITA. Ma passare dalle poche decine di fuoriserie degli anni Quaranta – nel 1946 dai cancelli del Portello escono appena sei vetture… – alla produzione in serie degli anni Cinquanta e Sessanta non è né semplice né immediato. Per farlo servono investimenti e operazioni ausiliarie a breve e medio termine che, in preparazione alla rinascita economica e industriale del paese, riescano ad ampliare e diversificare con profitto i piani industriali dell’azienda. È in questa direzione che nelle alte sfere dell’azienda prende piede l’ipotesi di produrre (anche) cucine elettriche. Nel 1944 realtà come Smeg, Indesit e Ariston non sono ancora nate e la produzione di elettrodomestici, all’epoca apparecchi molto costosi e poco diffusi, è demandata alle grandi industrie metalmeccaniche. Alcune di esse assumono il ruolo di semplici assemblatori, mentre altre si occupano del progetto in toto. È il caso dell’Alfa Romeo, le cui cucine – per ragioni in parte difficili da ricostruire, mai arrivate alla produzione – vengono interamente disegnate e prodotte entro le mura del Portello a cavallo del 1944 e del 1946. Un periodo breve ma intenso, in cui l’azienda sembra voler fare sul serio, come si legge tra le righe dell’accordo firmato con la Scaem di Milano. “Un’azienda il cui acronimo non è mai stato decifrato” ha spiegato la scorsa domenica, 20 ottobre, il curatore del Museo Storico Alfa Romeo Lorenzo Ardizio, “ma che con ogni probabilità sta per ‘Società per il commercio di apparecchiature elettriche Milano’. Quel che emerge chiaramente dalla documentazione presente nel nostro archivio, però, è che questa ditta si sarebbe dovuta occupare della distribuzione delle cucine”.

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PARITÀ DI GENERE NON TI CONOSCO. La cucina conservata al museo, completa di piano cottura a due fuochi, bollitore integrato e forno elettrico, è la sessantatreesima costruita dall’Alfa Romeo. Tra le note conservate nell’archivio di Arese, ingiallite dal tempo ma perfettamente leggibili, figurano corrispondenze, appunti, verbali, disegni tecnici e addirittura una serie di istruzioni per l’uso, tra cui le temperature di cottura a cui ‘l’operatrice’ deve attenersi per una perfetta riuscita delle pietanze. In barba a ogni barlume di parità di genere, all’epoca evidentemente prima delle persone esistevano i maschi e le femmine. E ai fornelli alfa regnavano incontrastate le signore…

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