Donne e moto(ri): la pubblicità è femmina

Donne e moto(ri): la pubblicità è femmina

Va bene, che il gentil sesso venga (ab)usato in lungo e in largo dai geni del marketing non è uno scoop di Veloce. Ma il fatto è un altro. La verità è che i mezzi di trasporto (e soprattutto la moto, come mezzo popolar-economico, perché una volta le due ruote erano una scelta di portafoglio più che di pancia) sono sempre stati i prodotti che per vocazione hanno rotto più di tutti con i tabù. Centrando in pieno il bersaglio: quello di attirare l’attenzione di ammirati o scandalizzati che fossero.

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FEMMINISMO E COLONIALISMO. Erano gli anni ’30 quando l’inglese Ariel mostrava una intrepida amazzone cavalcare il suo rombante mezzo, con tanto di gonna e cravatta. Una mezza rivoluzione femminista. Nel frattempo, in Italia, e in pieno fascismo, la Bianchi buttava benzina sul fuoco del colonialismo, mostrando una sexy indigena in topless, a cavallo di una 250 con ‘telaio elastico’ e cammello d’ordinanza sullo sfondo. Roba da ‘e vinceremo!’.

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LE INGLESI. Passano gli anni e la moto diventa qualcosa di diverso dal semplice mezzo casa lavoro. La gente scopre le vacanze, che in sella si trasformano in scampagnate. ‘For that great escape, go Triumph’, (per la grande fuga, vai di Triumph), e c’è una lei, in parte scostumata, a metà tra la donna fatale e la belva feroce, fotografata nel suo ambiente naturale: un bosco. Con la bicilindrica di Sua Maestà un po’ nascosta. Altra inglesina, altro mare, quello della BSA Bantam, che ti promette di andare dappertutto: pure in spiaggia con gli shorts.

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LA MINIGONNA. A fine anni ’60 spunta la minigonna, che durerà per un decennio: ‘io Suzuki, e tu?’ o la ‘Beautiful’, della Norton Commando Roadster. Stessa cilindrata, 750, ma altro calibro per la modella felliniana scelta da quelli di Borgo Panigale per la Ducati. Mentre, dall’altra parte del mondo, ce la stanno mettendo tutta per rispondere alla concorrenza di inglesi, ma soprattutto, alle prime avvisaglie della febbre gialla. La ricetta? La classica biondona americana su Harley, ‘anything else is less’ (tutte le altre sono nessuno).

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MOTORINI. Ma due ruote non vuol dire solo moto, ma pure scooter e ciclomotori (tu chiamali, se vuoi, motorini). Tanto per farti un’idea, guarda la pubblicità del Galletto della Guzzi, grafica minimal, donna al manubrio e autostoppista in tenuta da gondoliere mancato, o anche quella della Lambretta, disegno uso manichino di moda e blusa con trama a battistrada: Lambretta recommend Pirelli (Lambretta raccomanda Pirelli).

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CIAO! Ma gli Oscar per le réclame più innovative vanno alla Piaggio. Che è talmente sicura del proprio prodotto che riesce addirittura a non mettere lo scooter di Pontedera in uno dei suoi manifesti più iconici: lui davanti, lei dietro col foularino in testa e gonna al vento, ‘alla loro felicità manca solo la Vespa’. Appunto. E poi arriva il cinquantino, e Ciao: ‘Piaggio convince, melocompro il Ciao!’. Cominciano i tormentoni, e la crociata contro le sardomobili. Ma uno spiraglio di futuro te lo fanno vedere quelli di Italjet, che al tempo importavano le Yamaha: naked giapponese, modella africana in tenuta Star Trek. Ci siamo, ormai la moto è diventato il mezzo ufficiale della controcultura.

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