East African Safari Classic: né turisti, né per caso

East African Safari Classic: né turisti, né per caso

Nel panorama dei rally storici, l’East African Safari Classic è certamente il più duro e difficile, il più severo per la meccanica delle auto e il più esigente rispetto alla forma fisica e mentale degli equipaggi. Giunto quest’anno alla sua decima edizione, vede sempre al via ‘vecchie glorie’ come Stig Blomqvist, vincitore nel 2015, e giovani con un passato nella serie iridata WRC, come lo svedese Patrik Sandell e l’americano Ken Block, oltre naturalmente agli habitués della gara keniota. Quanto alle auto in gara, le preferite sono le Porsche 911, in particolare quelle preparate dall’inglese Tuthill, una struttura che quest’anno portava in gara ben 13 vetture (comprese quelle di Block e Sandell), con un servizio di assistenza stratosferico che poteva contare su 97 persone e un veicolo di assistenza specifico per ogni equipaggio. Al via anche i modelli che hanno fatto la storia del Safari negli Anni ’70 e ’80, come le Ford Escort RS Mk1 e Mk2, le Datsun 240 Z e altre vetture inglesi come le Triumph TR7 e le Rover Vitesse 3500 SD1, ancorché mai protagoniste nella gara valida per il Mondiale Rally di 40-50 anni fa.

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I PROTAGONISTI. Unico equipaggio italiano al via quello composto da Federico Polese e Nicola Arena, in gara con una delle Porsche 911 allestite da Tuthill. Una bella corsa all’insegna della regolarità, che li ha visti concludere al decimo posto assoluto, ben davanti a Ken Block che, dopo aver vinto 8 delle 24 prove speciali (di cui una annullata e una sospesa), ha terminato 19° assoluto, vittima della sua fin troppo spettacolare ma poco redditizia guida che lo ha costretto a lunghi interventi di assistenza oltre i limiti di tempo imposti. A vincere è stata la Porsche 911 SC del keniota Beldev Chager, navigato dallo scozzese Drew Sturrock, davanti agli svedesi Patrik Sandell e Henrik Bolinder, mentre al terzo posto si è piazzato Ian Duncan, che aveva vinto il Safari Rally nel 1994 su Toyota Celica GT-Four, e che qui si è messo in luce sulla Rover Vitesse. Medaglia di legno per i kenioti Rose-Mc Neil su Ford Escort RS1800 Mk2, che hanno preceduto tre Porsche 911 del team Tuthill, quelle di Kadoorie, dell’austriaco Kris Rosenberger (anche lui con un passato nel Mondiale Rally) e del belga Van Cauwenberge. Tra le curiosità in gara la Skoda 130 LR Gruppo B di Edmunds-Kotek, con il navigatore ceko a fornire l’auto, le due Triumph TR7 V8 di Frank e Carl Tundo (a loro volta protagonisti in passato del Safari valido per il Mondiale Rally) e le due Renault 4 dei portoghesi Antonio Pinto dos Santos e Pedro Matos Chaves, finiti rispettivamente terzultimo e ultimo.

Federico Polese e Nicola Arena

Federico Polese e Nicola Arena

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LA COSTANZA PREMIA. Per terminare il Safari Classic occorre un’ottima preparazione, personale e tecnica, ci hanno spiegato Federico Polese e Nicola Arena, quest’ultimo salito ‘in corsa’ sulla Porsche del pilota anglo-italiano dopo la defezione in extremis di Roberto Mometti, il navigatore inizialmente designato. “L’auto va rispettata, pensando sempre che il rally è lungo circa 5mila chilometri e che il primo obiettivo è terminare la gara; il fondo è a volte sassoso, a volte sabbioso, comunque molto impegnativo; si trovano dossi in continuazione e occorre prestare sempre attenzione perché non si può provare prima l’intero percorso e l’imprevisto è in agguato, con un’auto, un bus o una mandria di animali in transito. Così la regola è andare al massimo dove c’è visibilità, tenendo sempre conto del fatto che si corre su strade aperte al traffico, e dove il fondo stradale lo consente, e rallentare prima di ogni dosso, a costo di sacrificare la spettacolarità. Molte prove consentivano una media di 120 km/h (la Porsche di Polese preparata da Tuthill ha una velocità di punta di 198 km/h) un paio però erano molto lente, da 60 km/h di media… e si passa da tratti ad alta quota, fino a 3mila metri d’altitudine, con i dirupi a lato della strada, ad altri a livello del mare o quasi, nella savana. Essendosi corso a febbraio, ben prima della stagione dei monsoni, abbiamo trovato fondo secco quasi sempre, il che ci ha facilitato un po’ la vita. La 911 SC, tra l’altro, ha un comportamento su strada eccezionale, perché la disposizione meccanica con ripartizione dei pesi sbilanciata sul retrotreno garantisce un assetto ideale in volo e una grande motricità quando si accelera da fermo o da bassa velocità dopo le curve strette. 

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La 911 di Federico Polese e Nicola Arena

La 911 di Federico Polese e Nicola Arena

UNA 911 AD HOC. L’allestimento dell’auto, di proprietà di Polese, è studiato ad hoc per gare di tipo endurance come questa: sedili comodi per stare in auto anche 10 ore al giorno, serbatoio maggiorato a 100 litri, 2 gomme di scorta, roll-bar in acciaio e tante dotazioni ridondanti, come il doppio cavo dell’acceleratore, per citare solo un esempio, così da non essere costretti allo stop in caso del classico cedimento di un particolare di un euro. Le sospensioni sono specifiche, della X-Tec, per garantire un assorbimento senza danni anche dopo salti impegnativi e un’escursione di quasi 50 cm. Quanto al motore, il cilindri boxer da 3 litri di cilindrata è stato messo a punto pensando alla resistenza e all’affidabilità in queste condizioni ambientali difficili e alla ‘tortura’ di viaggiare spesso a tavoletta per 8 giorni. Più che sulla potenza, comunque rispettabile, nell’ordine dei 250 cv, si è puntato sull’elasticità e quindi sull’erogazione della coppia ai bassi regimi, trascurando i consumi che sfiorano i 50 litri/100 km quando si viaggia al massimo. Con una guida accorta, evitando i bordi delle strade dove si annidano spesso pietre taglienti, abbiamo subito una sola foratura, mentre altri piloti dovevano fare i conti con una o due foratura per prova speciale!” Ma quanto costa disputare il Safari Classic? chiediamo. Risponde Federico Polese: “è una gara che vale e che costa come una stagione. Eviterei di scoraggiare chi fosse interessato… è anche una corsa lunga, bisogna prevedere di stare in Kenya almeno due settimane, io mi sono fermato una settimana in più, anticipando l’arrivo per provare bene l’auto e ambientarmi. Anche la navigazione è importante, Nicola Arena è stato un ottimo professionista, capace di saltare a bordo all’ultimo momento e di allinearsi alle necessità della competizione immediatamente”.

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