Fiat S76: una ‘belva’ da 28 litri e 212 km/h

Fiat S76: una ‘belva’ da 28 litri e 212 km/h

Siamo nel 1909 e il record di velocità terrestre è appena stato ritoccato a Daytona dalla Blitzen-Benz. Nel Vecchio Continente, a Torino per la precisione, si studia una vettura in grado di portare a casa il primato. L’anno successivo arriva la Fiat S76, soprannominata ‘la belva’ e in seguito conosciuta anche come 300 HP Record. Gli ingegneri sabaudi optano per un biblico quattro cilindri in linea raffreddato ad acqua da 28353 cc (sì avete letto bene, 28mila e 353 centimetri cubici), capace di erogare 290 cavalli a 1900 giri e 2300 Nm di coppia. Abbinato al mastodontico motore c’è una trasmissione a quattro rapporti mentre per quanto riguarda le sospensioni troviamo balestre all’anteriore e al posteriore. L’avviamento è ad aria compressa con tre candele per cilindro, l’accensione avviene invece tramite magnete a bassa tensione. Il peso complessivo è di circa 1700 kg.

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UNA BESTIA, DUE MOSTRI. Ne vengono costruiti due esemplari: il primo viene testato da Felice Nazzaro nel 1910 che lo giudica ‘incontrollabile’, viene conservato in Corso Dante; il secondo viene venduto, un anno dopo, al principe russo Boris Soukhanov. Questi chiede a Piero Bordino di guidare la vettura sul circuito di Brooklands, ma il pilota italiano, inizialmente, si rifiuta di guidare ‘la belva’ a velocità superiori ai 150 km/h. Ciò nonostante, poco tempo dopo, sulla spiaggia di Salburn, la S76 tocca i 187 km/h, ma sono sufficienti solo per vincere la sfida sul miglio con partenza da fermo.

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RECORD. Soukhanov recluta allora l’americano – poi naturalizzato francese – Arthur Duray che si mette subito alla caccia del record sul rettifilo di Ostenda, in Belgio. Vola a oltre 212 km/h, la Fiat S76 è l’auto più veloce del pianeta. Il record però non viene riconosciuto, perché nel frattempo le regole imposte dall’Association Internationale des Automobile Clubs Reconnus – antesignana della FIA – sono cambiate.

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L’INIZIO DELLA FINE. Dopo la Grande Guerra, la prima delle due S76 viene smantellata, mentre quella di Soukhanov finisce in Australia. Se ne perdono le tracce fino agli Anni ’50, quando Stuart Middlehurst acquista il telaio di quella che secondo lui era una Fiat S74, equipaggiandola con un motore Stutz. Trent’anni dopo un collezionista australiano acquista il relitto sapendo che si tratta della rarissima S76. Il progetto è quello del restauro totale, ma per mancanza di tempo e fondi viene abbandonato.

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LA RINASCITA. Nel 2002 entra in scena il facoltoso inglese Duncan Pittaway, attuale proprietario, che sorprendentemente ritrova in quel di Torino un motore della S76, le ruote e varie parti del telaio anche ‘esplorando’ per giorni e giorni i vecchi magazzini Fiat a Torino. Grazie all’encomiabile lavoro del tecnico e storico italiano Leonardo E. M. Sordi — che ha ricostruito tutto il sistema d’accensione, tutte le bronzine (gusci in bronzo e metallo bianco centrifugato) e lavorato in aggiustaggio il basamento motore (per la precisione, nel riallineamento dei supporti di banco deformati dopo più di cento anni) — ‘la belva’ torna in pista e nel 2019 partecipa al Festival of Speed di Goodwood..

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UNA STORIA A LIETO FINE? NOT REALLY. Recentemente, la procura di Torino si è vista costretta ad aprire un’inchiesta: il motore ‘ritrovato’ – e originale – era stato in realtà prestato dal Politecnico sabaudo al magnate britannico, che però al momento della restituzione ha ben pensato di spedirne in Italia uno diverso. E il reato ormai è andato in prescrizione.

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Un commento su “Fiat S76: una ‘belva’ da 28 litri e 212 km/h”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    Il duello ci fu, tra la Belva di Torino e il Fulmine di Benz.

    Nel 1909 si sfidano sul miglio alla massima velocità possibile Italia e Germania.

    I due contendenti sono la tozza e sgraziata tuttomotore Fiat S 76 e l’elegante ed aerodinamica Blitzen Benz (Fulmine di Benz).

    Si inizia l’8 novembre del 1909, sul circuito di Brooklands, dove Victor Héméry con il Fulmine di Benz infrange il muro dei 200 km/h, raggiungendo una punta massima di 202.7 km/h.

    Venduta a caro prezzo a Barney Oldfield, il Lampo di Benz sbarca l’anno seguente negli Stati Uniti, dove sulla sabbia di Daytona Beach, con il nuovo proprietario Oldfield infrange il record precedente grazie ai notevoli perfezionamenti aerodinamici di carattere intuitivo ed empirico che consentono al Fulmine di Benz di raggiungere una velocità di punta di 211.97 km/h.

    Il motore del Fulmine di Benz è dotato di 4 enormi cilindri da 21.504 cc derivato da quello di una piccola auto da competizione, la Benz Rennwagen prodotte dal 1899 al 1902.

    Risponde nel 1911, la Belva di Torino dotata del poderoso Fiat 4 cilindri da 28.353 cc per 290 CV a 1.900 giri al minuto con 3 candele per cilindro necessarie ad incendiare l’enorme camera di scoppio dei giganteschi pistoni. La Belva con Pietro Bordino al volante sul circuito di Brooklands e sulla spiaggia di Saltburn raggiunge i 200 km/h, ma non basta a battere il Fulmine di Benz. Difetta di aerodinamica è una botte su ruote che ospita l’enorme motore.

    Il Fulmine di Benz con Bob Burmann alla guida, il 23 aprile 1911 supera nuovamente il suo record precedente, raggiungendo i 228.1 km/h sul chilometro lanciato.

    La Belva di Torino non si dà per vinta, affidata nel 1912 ad Arthur Duray sul rettilineo di Ostenda raggiunge la velocità di 225 km/h, ma tale record europeo per irregolarità della registrazione, non venne ufficializzato.

    Fonti non ufficiali accreditano un record strabiliante della Belva di Torino nell’aprile 1912 a Long Island, dove la 300 hp percorre il miglio alla velocità di 290 km/h.

    Per i record ufficiosi, il Fulmine di Benz resta imbattuto fino al 1919, battuto dalla Packard 905.

    Nel 1924 appare la mitica Mefistofele, icona futurista ed emblema della tecnologia Fiat che sfiora i 235 km/h. Ragion per cui è da considerarsi assolutamente fantasioso il record strabiliante della Belva di Torino nell’aprile 1912 a Long Island alla velocità di 290 km/h.

    Era l’epoca dove tutti volevano dimostrare di andare più veloci degli altri.

    Un’epoca di sfide epiche dove Fiat fu protagonista con le sue meccaniche più veloci.

    Le due realizzazioni più suggestive ed innovative di Fiat furono, a mio avviso, la Mefistofele di Ernest Eldridge, risorta da un motore esploso e l’avveniristica bassa, profilata e filante 806 a 12 cilindri dei giovani ingegneri Tranquillo Zerbi e Alberto Massimino che sostituirono il mago Vittorio Jano strappato da Enzo Ferrari per approdare all’Alfa Romeo, ma queste sono altre storie, anzi leggende che andrebbero raccontate.

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