Fondoschiena… possenti! Le ‘code lunghe’ stradali

Fondoschiena… possenti! Le ‘code lunghe’ stradali

Viviamo nell’era della compattezza, in cui ogni centimetro è vitale. Per questo vent’anni fa la Smart è diventata un mito: ha interpretato in misura perfetta una forte esigenza: essere un’auto ‘senza quasi esserlo’. Una Smart ‘coda lunga’ sarebbe un controsenso assoluto, apoteosi del paradosso, celebrazione dell’assurdo. Eppure la coda lunga è un oggetto di fascino: il posteriore che si protende verso il retro è avvolto in un ‘impetuoso’ abbraccio dalla forza del flusso d’aria. Questo raffredda il motore e/o tiene dritta ‘la poppa’. Abbiamo già pubblicato una sorta di Speciale in tre puntate sulle Code lunghe da corsa (qui per saperne di più). Ecco ora una interessante selezione di Code Lunghe stradali.

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NAMI 013 1948. Durante gli Anni ’50 e con i vincoli di un regime autoritario le auto dell’Europa dell’Est sono state più all’avanguardia di quanto si creda. È il caso della Nami 013, ideata da un futuro leader del design in Unione Sovietica: Yuri Dolmatovsky. La sua storia è intrisa di motori: nel 1933, all’età di 20 anni pubblica un lavoro editoriale sulle vetture Ford che gli apre le giornalismo di settore. Entra quindi alla ZIL, produttore di autobus, e si dedica allo studio dei veicoli con abitacolo in posizione molto avanzata. Da lì passa al NATI, Istituto russo di Ricerca Automobilistica a Mosca. Qui analizza i processi di evoluzione del settore e le tendenze future. A metà degli Anni ’30 collabora al progetto di una berlina con motore posteriore e cabina anteriore. La guerra blocca ogni iniziativa ma nel ’47, in un clima difficile di ricostruzione, il Ministero russo per la programmazione economica lancia una gara per progettare una berlina di lusso. Partecipa anche Dolmatovsky. L’auto è molto avanzata, ha motore posteriore boxer a iniezione con un layout a coda lunga molto prominente, cambio automatico, sterzo idraulico, sospensioni tutte indipendenti e pneumatici da 13 pollici su ruote direttamente collegate ai tamburi dei freni. Se non fosse per la fila dei tre sedili anteriori davanti all’asse, potrebbe considerarsi un precursore dei minivan. Il progetto, dopo una decina di modelli in scala, passa alla costruzione dei prototipi. Il lavoro si articola su più linee guida: design aerodinamico, carrozzeria autoportante (senza telaio), piattaforma modulare per sperimentare differenti soluzioni: quella considerata poco realizzabile sarebbe stata eliminata. Ma l’attuazione risulta complicata. Il primo prototipo viene bocciato senza riserve. Un altro è scartato poiché, a causa dei sedili ‘troppo anteriori’ e il motore posteriore a sbalzo, “i cambi marcia sono difficili per l’eccessiva lunghezza delle aste”. Un altro, infine è scartato a causa dei numerosi problemi di surriscaldamento del motore. Fino al 1953 vengono creati numerosi prototipi di design differenti. La Nami 013 non raggiunge la fattibilità ma è stata senza dubbio un’idea molto interessante.

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FIAT-ABARTH 750 GT COUPÉ VIGNALE ‘GOCCIA’ 1957. Al Salone di Ginevra del 1957 l’Abarth presenta un originale modello studiato sulla meccanica della 750. L’esecuzione si deve a Vignale, che realizza la carrozzeria su disegno di Giovanni Michelotti. Questa concretizza uno studio dei volumi in ottica di efficienza. Non è una novità per il carrozziere piemontese: basti ricordare la numerosa progenie delle Ferrari 166 – 250 – 340 con frontale aerodinamico e fari incassati o la Maserati A6 GCS/53 carrozzata in unico esemplare nel ’54 (poi ri-vestita da Scaglietti). La Fiat-Abarth 750 di Vignale si presenta con il classico quattro cilindri monoalbero di 747 cc e un singolo carburatore Weber. Il cambio è a quattro marce. L’interessante ‘pelle’ ha frontale corto e spiovente; le portiere si aprono secondo l’affascinante layout ‘ala di gabbiano’, consacrato al successo da Mercedes-Benz con la magnifica 300 SL. Il motore fuoribordo, infine, è sistemato in modo da realizzare un tipico layout a ‘coda lunga’. Questo design decreta il suo soprannome definitivo: ‘goccia’. Purtroppo, però, non si guadagna la fama normalmente spettante alle Abarth. Oltre al prototipo Gullwing viene prodotto (forse) un altro esemplare con porte normali. Nel ’57 la Fiat-Abarth 750 Vignale Goccia corre alla Targa Florio, alla Mille Miglia e al Tour de Corse ma non realizza mai grandi risultati, pare a causa di problemi di surriscaldamento al propulsore. Le caratteristiche della sua forma verranno riprese qualche anno dopo con la Fiat 600D Sperimentale.

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MCLAREN F1 GT LONGTAIL 1998. L’ipotizzabile erede dell’M6GT Stradale del ’68 di proprietà dello stesso Bruce Mclaren è un progetto realizzato a partire da un foglio bianco. Le teste pensanti del marchio inglese (Ron Dennis, il Direttore Tecnico Gordon Murray, Creighton Brown del Marketing e Mansour Ojjeh di Tag-Heuer) non hanno pensato con precisione a quale avrebbe potuto essere il suo mercato (del resto, fin dall’inizio è pensata come un puro modello stradale). Viene perciò stabilito solo un limite alla produzione: non più di centocinquanta esemplari. Il progetto parte nella primavera del 1989 con l’obiettivo di costruire una macchina che riscriva i capitolati della GT propriamente detta. Il concetto base – telaio monoscocca in fibra di carbonio, posto guida centrale con due sedili ai lati leggermente arretrati – si completa con un motore di altissima genealogia. Poiché i colloqui con la Honda, all’epoca fornitore dei motori per le monoposto, vanno a vuoto Gordon Murray si rivolge a BMW, che per la nuova McLaren stradale sviluppa l’unità S70, un 12 cilindri bialbero di 6 litri, 48 valvole, 627 cavalli. Questo è abbinato alla trazione posteriore e cambio meccanico a sei marce con frizione in carbonio. A fine ’92 iniziano le consegne della nuova F1: il prezzo supera 600mila sterline. Nel frattempo, di fronte alle richieste dei clienti sportivi, McLaren decide lo sviluppo della versione corsa. L’F1 GTR vince la 24 Ore di Le Mans 1995 e viene ulteriormente migliorata nei due anni successivi, prima nell’ambito del campionato BPR, poi del FIA GT, al quale si presenta in una nuova versione con ‘coda lunga’. Poiché i regolamenti sportivi esigono che, accanto a un’auto da corsa, sia sviluppato il suo corrispondente stradale prodotto in almeno un esemplare, di questa evoluzione è decisa la produzione di una unità dimostrativa. La F1 GT Longtail ha la sua ragion d’essere nella grande carrozzeria, più larga di dieci centimetri e più lunga di sei. In coda manca la grande ala fissa contando sulla già straordinaria aerodinamica globale. A livello di motore (senza restrittori) ci sono quasi seicentotrenta cavalli. Si ha notizia che siano stati costruiti tre esemplari e il prezzo ufficiale non è mai stato divulgato.

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OLDSMOBILE AEROTECH CONCEPT 1987. Nella seconda metà degli Anni ’80 la Casa fondata nel 1897 sviluppa un prototipo per dare più risalto al lancio di un nuovo motore per le sue berline. Per rendere più efficace la visibilità del propulsore Quad4 vara il progetto Aerotech e costruisce una hypercar per battere una serie di importanti record di velocità. Ma Non solo. Le Aerotech, progettate dal Centro Ricerche della General Motors, hanno anche il compito di migliorare l’immagine del marchio e renderlo più emozionale agli occhi del pubblico. Il primo veicolo di studio del 1987 è equipaggiato con l’inedito 4 cilindri che, in versione stradale, eroga 160 cv. Il motore sperimentale è dotato di uno o due turbocompressori e arriva a produrre 900 cv. È installato in un corpo vettura con aerodinamica sopraffina: è un coupé monoposto su telaio di una Formula Indy (si accede scorrendo in avanti il parabrezza) lungo, ultra basso e dotato di estrattori per sfruttare al massimo il cosiddetto effetto venturi. Ne sono costruite più versioni: con coda corta e (o senza) ala fissa stabilizzatrice e con un esteso posteriore che va progressivamente assottigliandosi e conferisce una affascinante silhouette che sembra non finire mai. L’effetto visivo è amplificato dalla mancanza dell’ala. Nella fine di agosto dell’87 l’Aerotech supera brillantemente 430 km/h e permette il lancio dell’unità Quad4 con grande risalto di immagine. Nel 1992 questa siderale auto-laboratorio torna per offrire ancora i suoi servigi. Viene aggiornata con un V8 4 litri e a livello di design ora mostra un volto nuovo, dotato di fari (mancanti nel primo layout) e un vistoso airscoop. Complessivamente i prototipi Aerotech hanno conquistato quasi venti record mondiali di velocità tra cui due record assoluti: 10mila chilometri a quasi 275 km/h di media e 25mila km a quasi 255 orari.

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MERCEDES CLK-GTR 1997. Nel ’92 si chiude il Mondiale Sport-Prototipi e nel ’94, sulle sue ceneri – dall’idea di Jürgen Barth (ex D.S. Porsche), Patrick Peter e Stéphane Ratel – nasce la serie BPR (dalle iniziali dei loro cognomi), una nuova formula che ne riprende i fasti. Il regolamento stabilisce che le auto candidabili devono essere derivate da modelli di serie (a differenza del campionato precedente in cui una Sport-Prototipo veniva prodotta solo per questo scopo). Nella classe regina la parentela tra la macchina da corsa e la sua versione da strada è molto stretta: telai monoscocca in fibra di carbonio, sospensioni con ammortizzatori “push-rod”, motori da almeno 600 cv, due posti secchi, spazio nel “cosiddetto” baule per appena un paio di sacche morbide e prestazioni quasi allo sfondamento del muro del suono. Il prezzo d’acquisto mostra che questi oggetti del desiderio sono quanto di più esclusivo si possa concepire (in Lire, ben oltre il miliardo). È il caso della Mercedes CLK GTR (25 esemplari, 1,5 miliardi di Lire), prodotta sia con carrozzeria coupé, sia roadster, auto imparagonabile rispetto alla più sportiva delle Mercedes da strada fino a quel momento prodotta. Con una normale CLK della serie W208 condivide sì e no la fanaleria. Ad inasprire il suo design megalitico sono anche le dimensioni sproporzionate delle sue superfici alari. La coda, in questo contesto, appare la parte più inaudita di questa mega Mercedes: lunga, grande, ampia, con quell’ala che pare un arco di trionfo. La W297 è motorizzata con un possente dodici cilindri portato dai 6 litri della serie SL a 6.9 (e pensare che il 4.3 della CLK 430 sembra un super-motore!) per una potenza massima di 600 cv. E non è il picco assoluto. In catalogo c’è una versione ancora più estrema, la CLK-GTR 7.3 Supersport, sviluppata dalla HWA GmbH, responsabile della gestione delle Mercedes AMG nel DTM: produce 730 cv e ha fornito la base motoristica per lo sviluppo della Pagani Zonda.

Maserati_MC12_veloce

MASERATI MC12 2004. Il 1957 è un anno da dimenticare per la Maserati. Il Tridente investe tutte le sue migliori energie per, finalmente, vincere il Mondiale Sport. La mostruosa 450 S ci prova con un coraggio atomico ma vince solo la 12 Ore di Sebring, si ritira alla Mille Miglia e manca clamorosamente l’appuntamento di Le Mans nonostante l’affascinante ma sfortunata Coupé Costin-Zagato. Con il secondo posto a fine stagione Maserati esce dall’impegno ufficiale e continua a produrre per i privati. Ma neanche la Tipo 151 e le Birdcage riescono a cambiare il corso della storia. Fino al 2004 e alla nascita dell’MC12. L’hypercar modenese, sviluppata prima della Ferrari Enzo, è disegnata da Frank Stephenson, il quale ha dovuto superare una serie di ostacoli. Non si tratta, infatti, di una Enzo rimodellata quanto di una super sportiva inedita, nata stradale ma con l’obbiettivo delle competizioni. La macchina è più lunga (dai 265 cm di passo della Enzo a 280) ed è equipaggiata con lo stesso dodici cilindri sei litri ma è meno potente (620 cv contro 660) e più pesante (1335 kg contro 1255). La carrozzeria non è ‘bruttina’ come la Enzo che, ancora oggi, sembra essere “anche troppo” fedele alla logica forma/funzione. L’MC12 ricorda vagamente l’impetuosa Ford MK IV ma quest’ultima ha senza dubbio proporzioni molto più esagerate. La Ford sembra un orso, la Maserati ricorda un offshore per via della sua ‘codona’ interrotta solo da una grande ala fissa. L’MC12 ha avuto molte vite: da stradale a MC12 Corsa per le gare del FIA GT a ‘Versione corse‘ per l’esclusivo utilizzo in pista e con 750 cv.

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I2B CONCEPT WILDCAT 2006. Dall’intraprendenza di tre appassionati bulgari (Ivan Ivanov, Ivan Stoyneski e Branimir Dobrev) nel 2006 si fa avanti la proposta di una coupé ad alte prestazioni che riporti in auge lo spirito della GT come negli Anni ’50 del Novecento. Le sue concorrenti principali sono la Lamborghini Gallardo e La Ferrari F430. Questa supercar di forma anticonformista è il terzo progetto dopo la I2B Raven e la I2B Raptor. La finalità è un’auto sportiva per girare su strada normale in settimana (da casa in ufficio) e in pista nel weekend. La meccanica prevede un motore otto cilindri a V in posizione posteriore e trazione integrale. La potenza è di oltre 450 cv e il peso ipotizzato in ordine di marcia è inferiore ai 1200 kg. Secondo il progetto la Wildcat avrebbe percorso lo scatto da 0 a 100 km/h in meno di 5″. Ivanov è impegnato nello studio del design, dell’ingegneria di progetto, modellazione dei manichini e della creazione del telaio. Stoyneshki e Dobrev si dedicano alla modellazione in 3D e tematiche riguardanti il design. All’epoca della presentazione dell’idea il team dichiara di aver completato l’allestimento di un modello in scala e di essere febbrilmente sullo studio in vista dei test in galleria del vento. Nel frattempo si cercano investitori per dare energia al progetto e renderlo un’operazione concreta. In un paio d’anni I2B prevede di andare in produzione con una piccola serie al prezzo (allora, quindici anni fa), di 150mila dollari. Senza dubbio la Wildcat brilla per l’originalità della forma: è molto spigolosa e si articola in un frontale corto e spiovente, greenhouse raccolta e posteriore che va progressivamente allargandosi fino alla coda molto ampia. C’è una certa somiglianza con l’Abarth ‘Goccia’ al netto degli spigoli, che in questo caso sono davvero tanti. Dopo le anticipazioni del novembre 2006 si perde ogni traccia.

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