Lancia Fulvia: Dr. Jekyll e Mr. Hyde

Lancia Fulvia: Dr. Jekyll e Mr. Hyde

Dici Lancia Fulvia e pensi subito ai rally. Il logo HF con l’elefantino rosso, la livrea Marlboro, i cerchi color oro e, magari, una o due coppie di fari supplementari Carello sul muso. Eppure, alle origini di questa leggendaria regina delle corse – che a cavallo tra gli Anni ’60 e ’70, accanto a mostri sacri come Porsche 911 e Alpine A110, ha dominato la scena nelle prove speciali di tutto il mondo – non c’è neanche l’ombra di un’auto pensata per correre. Anzi, la Fulvia, che nel 1963 prende il posto dell’Appia nel segmento delle cilindrate medio-inferiori, ha forse proprio nelle prestazioni il suo tallone di Achille. Colpa di una carrozzeria un po’ troppo pesante e di un motore tanto raffinato quanto avaro di cavalli. Le cose migliorano un anno dopo il lancio, quando il sofisticato V4 di 13 gradi, grazie a due carburatori doppio corpo e a un aumento del rapporto di compressione, passa da 59 a 70 cv. Tanti no, ma sufficienti a darle quel pizzico di brio in più. Non è un caso che nel 1965, nell’anno in cui la HF squadra corse messa in piedi da Cesare Fiorio diventa il reparto sportivo ufficiale della Casa, sia proprio una berlina 2C la prima Fulvia a mettersi in luce nei rally.

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LA COUPÈ. In quello stesso anno al Salone di Ginevra debutta la versione Coupé. Il design austero e quasi ‘razionalista’ della berlina viene completamente messo da parte in favore di linee fresche e veloci. È la cartina di tornasole di un piglio sportivo che grazie alle elaborazioni dei tecnici guidati dal celebre motorista Ettore Zaccone Minà – nientemeno che il ‘papà’ del V8 della famosa Lancia D50 di Formula 1… – si trasforma presto in un carattere da vera macchina da corsa. Ma la carriera della Fulvia non è, come potrebbe sembrare, polarizzata tra due estremi così distanti. Tra la sobrietà sabauda della berlina e l’aura di leggenda che avvolge la coupé, accanto ai progettisti, ai meccanici e ai piloti che hanno reso la Fulvia famosa in tutto il mondo, hanno lavorato uomini abituati a muoversi in quel piccolissimo spazio che separa l’immaginazione dalla dimensione reale. Un luogo magico in cui, giocando con la fantasia, spesso i sogni diventano realtà. Scopriamo la storia e le varianti della Fulvia in questa gallery+

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Un commento su “Lancia Fulvia: Dr. Jekyll e Mr. Hyde”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    Nel 1972 la Fulvietta era spacciata.

    Il Monte era una faccenda tra Porsche 911 e Alpine A110.

    I francesi si aspettavano il dominio delle Alpine, contrastate solo dalle meno maneggevoli e potenti Porsche.

    La Fulvia Hf di Munari e Mannucci n. 14, vecchia agli occhi di tutti, di un’altra generazione, a trazione anteriore, aveva tutto ciò che serviva per perdere: troppo pesante (200 chili più dell’Alpine) e poco potente (110 cavalli meno della 911).

    Inizia il Monte.

    Il Drago e la vecchia Fulvietta tengono botta. Precisi, puliti e veloci, lasciano scatenare le Alpine e le Porsche che si scannano tra loro speciale, dopo speciale.

    All’alba del 27 gennaio la Fulvia di Munari e Mannucci, incredibilmente si è portata nella notte di neve e di ghiaccio in terza posizione, contro ogni pronostico.

    Resta da affrontare la prova più dura, quella del Col de Turini, sotto una pioggia battente che si trasforma ben presto in una tormentata bufera di neve: condizioni al limite dell’impossibile.

    Le Porsche non tengono la strada: troppa potenza da scaricare a terra, quando sotto le ruote c’è solo il ghiaccio. Le Alpine muoiono una dopo l’altra, Andruet sbatte contro la montagna, Darniche e Andersson rompono il cambio.

    La Fulvietta vola, vola sul ghiaccio, vola nella tempesta di neve del Turini e volerà fino al traguardo, quel 28 gennaio del 1972.

    La Fulvietta con quel V4 stretto monotestata sotto il cofano, sbancò di nuovo e contro ogni pronostico il Monte del ‘72.

    Il lunedì dopo, furono richiamati al lavoro gli operai delle linee di produzione della Fulvia Coupé, chiuse da un mese perchè il modello era vecchio e non vendeva più.

    Dopo quel Montecarlo tutti volevano la vecchia Fulvietta, le richieste si impennarono, l’attività fu ripresa e gli operai tornarono al lavoro.

    Poi arrivò la Regina.

    La strabiliante Stratos.

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