Le sportscar dei ’70: tra spigoli e motori centrali/1

Le sportscar dei ’70: tra spigoli e motori centrali/1

Sono gli anni dei rover lunari, delle potenze e delle velocità da capogiro: in pista la Porsche 917/30 Can am supera i mille cavalli, mentre sulle strade di tutti i giorni è arrivata un’auto da oltre 300 orari, la Lamborghini Miura. Non è considerato un gran periodo per il car design tranne che per alcune eccezioni (Pininfarina Modulo, Bertone Strato’s, Nissan 126X…), ma l’innovazione non si ferma e le Case ‘scoprono’ il motore posteriore-centrale sui modelli sportivi di piccola cilindrata, l’antidoto alla crisi. E applicano il concetto al trionfo di spigoli che le tendenze dettano. Ecco le prime tre sportive con il motore al centro che abbiamo selezionato per questo speciale.

Porsche 914

Porsche 914

VOLKSWAGEN-PORSCHE 914 1969. Nel 1965 il marchio del popolo pensa a come dare continuità alla Karmann Ghia. A Zuffenhausen, invece, bisogna creare una erede della 912, ritenuta troppo sportiva come alternativa economica alla 911. Nel ’66 i due marchi si accordano per produrre una Volkswagen sportiva progettata da Porsche: Stoccarda avrebbe sfruttato la potenza industriale di Wolfsburg. Wolfsburg avrebbe potenziato la propria immagine. È una spider tipo Targa con tetto rimovibile motore posteriore-centrale: o boxer quattro cilindri Volkswagen o sei cilindri Porsche. Della produzione si sarebbe occupata la Karmann. La quattro cilindri avrebbe dovuto posizionarsi sul mercato come una Volkswagen, la sei cilindri come una Porsche. L’11 settembre ’69 a Francoforte viene presentata la 914 prima VW a motore centrale della storia. La versione economica, la 914/4, monta un boxer quattro cilindri da 1,7 litri per 80 cv e circa 180 km/h di punta massima. La più sportiva 914/6 si avvale del boxer sei cilindri duemila della 911 T con 110 cv. Fin dal debutto sul mercato si crea un problema di percezione del brand: la 914 viene ribattezzata VolksPorsche o ‘Porsche del Popolo’, ma le impressioni di guida sono da subito molto positive, merito del telaio rigido e dell’ottimo assetto sportivo. Fino al 1975, anno di ingresso della 924, la 914 viene prodotta in circa 119mila esemplari. A questi si aggiungono le versioni speciali. La prima, la 914/8, è la ‘mega’ 914 dotata del boxer a otto cilindri della 908 da corsa. Il capo del Reparto Corse Ferdinand Piëch ne fa costruire due esemplari: uno (colore arancio) a scopo promozionale. Il secondo (colore argento) come omaggio a Ferry Porsche per il suo sessantesimo compleanno. La seconda, la 916, è una 914 con motore della 911 S 2.4. Tuttavia costa troppo ed è in diretta concorrenza con la ‘Elfer’. Ne vengono prodotte solo undici.

Lancia Beta Montecarlo

Lancia Beta Montecarlo

LANCIA BETA MONTECARLO 1975. Nel ’69 si cercano le eredi per la Fiat 850 Spider e la 124 Sport. Il vincitore può essere trovato solo tra Pininfarina e Bertone, gli unici con capacità stilistiche, tecniche e produttive adeguate. Mentre Bertone concepisce la Runabout (Salone di Torino ’69) e lavora alla X1/9, Pininfarina lancia il progetto X1/8, una sportiva due posti su piattaforma Fiat 128 e con trazione anteriore. Nel ’72 nasce la Fiat X1/9 di Bertone, subito un successo mentre la X1/8 viene rinominata in X1/20. Dopo una serie di prototipi, al Salone di Ginevra del ’75 il layout definitivo è raggiunto: marchio Lancia, nome Beta Montecarlo. Il 1.8 bialbero già in casa viene portato a due litri per 120 cv e 1040 kg. La sportiva di Chivasso scatta da 0 a 100 km/h in 9″8 e tocca 190 km/h. La scheda si completa con cambio a cinque marce e freni a disco. Entra in listino con carrozzeria coupé o in versione Spider con tetto rimovibile. Sul mercato americano viene commercializzata come Lancia Scorpion (solo spider, motore 1.8). Nel ’79, dopo circa 4mila esemplari, Lancia introduce il restyling: si chiama solo ‘Montecarlo’ e ha freni maggiorati, stessa potenza, nuova calandra e vetri laterali posteriori. La produzione si chiude nel 1981 con un totale di circa 7800 esemplari prodotti.

Fiat X1/9

Fiat X1/9

FIAT X1/9 1972. Nella seconda metà degli Anni ’60 Bertone può vantare due capolavori: la Lamborghini Miura e la Fiat 850 Spider. Quest’ultima vende bene ma Pininfarina sta lavorando alla contromossa (il progetto X1/8). Perciò si profila la necessità di un’erede. Nuccio presenta a Torino ’69 la sportiva Ranabout su base Autobianchi A112, bellissima barchetta con motore anteriore della Fiat 128, disegnata da Marcello Gandini. Il successo dell’idea spinge Bertone ad allestire un secondo prototipo, più realistico, con carrozzeria Targa. Fiat, però, preferisce l’Autobianchi A112 Abarth e la Ranabout Targa finisce in un angolo. Nel ’71 il prototipo viene notato da Gianni Agnelli in visita a Grugliasco. La macchina piace e il progetto riparte mantenendo lo stesso nome. Marcello Gandini si occupa ancora dello stile e nel dicembre ’72 la Fiat X1/9 debutta al Salone di Torino come erede della 850 Spider: telaio di derivazione Lancia Stratos, carrozzeria tipo Targa con tettuccio rimovibile, motore posteriore-centrale trasversale 1.3 da 75 cv. La produzione avviene negli stabilimenti della Bertone. Viene anche esportata negli Stati Uniti: sia motore 1.3 che 1.5, iniezione e cambio a cinque marce. Nel 1978 viene presentato il restyling: propulsore da 1,5 litri a iniezione per 85 cv, cambio a cinque marce, design aggiornato. Nell’82 la produzione prosegue a marchio Bertone e inizia un programma di serie speciali variando colori e allestimento. La FIAT X1/9 conclude il suo ciclo di vita nel 1989 con circa 170mila esemplari prodotti

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Un commento su “Le sportscar dei ’70: tra spigoli e motori centrali/1”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    Nome in codice G31, la piccola Autobianchi coupé che non fu.

    Non si può dimenticare Pio Manzù, l’uomo della svolta stilistica di Fiat e le sue piccole vetture sportive a motore posteriore centrale..

    Pio avrebbe potuto essere ricordato come il figlio del celebre scultore Giacomo Manzù, quello del “Cardinale seduto” del Getty Museum di Los Angeles e di quei Cardinali dalla forma sempre più rigorosa ed astratta fino a diventare architetture nello spazio per la ricerca formale sempre più geometrica e pura.

    Così non fu. Così non fu nonostante la sua breve esistenza.

    Pio Manzoni all’anagrafe, raccolse il cognome d’arte del padre: Manzù.

    Per portare quel peso devi essere un genio artistico, altrimenti ne paghi le conseguenze.

    Pio Manzù era più di un genio artistico. Innovatore come oggi si definiscono gli uomini dal pensiero laterale.

    Pio fu in grado di innescare quel cambiamento di stile che mancava in Fiat e in Europa.

    Lo intuì Dante Giacosa che avvertì in lui, l’uomo del cambiamento epocale.

    Pio studiò disegno industriale sulle verdi colline di Ulm, alla “Hochschule für Gestaltung”. L’istituzione accademica discesa dal mitico Bauhaus.

    Sulle verdi colline di Ulm vennero creati i prodotti Braun. Razionalismo, funzionalismo ed ergonomia, furono i principi imprescindibili.

    Principi che caratterizzeranno tutti i progetti di Pio Manzù.

    Dalla Fiat 127, all’impostazione che diede alla discendente della Fiat 500 di Dante Giacosa, la Fiat 126 di Sergio Sartorelli, al City Taxi, al ridisegno con Michael Conrad dell’Austin Healey 100 per il concorso di “Revue Automobile”, alla NSU Autonova GT e FAM con Michael Conrad, fino a questa coupé dalle linee sportive pure nel segno di Autobianchi, presentata al Salone dell’Automobile di Torino del 1968.

    L’Autobianchi Coupè, nome in codice G31 rappresentò il progetto di una vettura sportiva di valore tecnico con un design sportivo essenziale e rigoroso, di costo contenuto, grazie alla condivisione meccanica con altri modelli di larga serie.

    La forma aerodinamica e profilata della G31, bassa un metro, era racchiusa in più di quattro metri per una larghezza superiore ai 150 cm.

    Fari a scomparsa e cinque branchie posteriori sulle fiancate per il raffreddamento del destinato bialbero Lampredi da 1.6 litri della Fiat 124 collocato posteriormente in posizione trasversale centrale.

    Trazione ovviamente posteriore, sospensioni a ruote indipendenti, freni a disco sulle quattro ruote e ruote in lega leggera Cromodora con pneumatici 175R13.

    In coda, gruppi ottici allungati, lunotto, come si conveniva, a listelli orizzontali, spoiler sollevabile e il doppio terminale di scarico centrale.

    Ovviamente fece scalpore, ma non bastò.

    La coupè di Pio Manzù, nome in codice G31, non vide mai la strada. Ma qualcosa accadde e non a caso,

    L’anno dopo, l’anno della scomparsa di Pio, avvenuta il 26 maggio 1969 al casello autostradale di Brandizzo, Autobianchi presentò a novembre al 51° Salone dell’Automobile di Torino quell’idea di sportiva per tutti, in forma di barchetta a cuneo deportante ed incidente: la Bertone Runabout su pianale A112, uno dei tanti capolavori di Marcello Gandini e nel 1972, finalmente arrivò la piccola sportiva Fiat con meccanica condivisa con la Fiat 128, l’indimenticata X1/9.

    Della Autobianchi Coupè che non fu e del progetto G31, iniziali di Giacosa, oggi qualcosa però resta.

    Guardate quei sedili e confrontateli con la poltrona Manzù. La “poltrona fisiologica” con il sistema ammortizzante a balestra, un sedile automobilistico sportivo, montato su una struttura in alluminio a tubo centrale da cui dipartono le cinque gambe a razze equidistanti.

    Un capolavoro di design intramontabile.

    Per capire l’importanza del pensiero di questo designer internazionale è stata istituita la Fondazione Centro Studi e Archivio del lavoro e della vita di Pio Manzù presso la Fondazione Pio Manzù, Viale Giulio Cesare 29 a Bergamo.

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