Lilli Bertone: una vita dedicata a Nuccio

Lilli Bertone: una vita dedicata a Nuccio

Io consideravo Lilli Bertone, un’amica e un datore di lavoro. Fu la vedova di uno dei miei più grandi eroi: il car designer più innovativo della storia, Nuccio Bertone. Lui era tutto per Lilli, sia durante il loro lungo matrimonio sia dopo la morte di Nuccio, il 26 febbraio 1997: aveva 83 anni. Con lui, lei conobbe la felicità. Eh sì, perché si trattava di passare la vita al fianco di un carismatico genio, un generoso visionario che dava libertà eccessiva ai suoi giganti creativi, che così inventarono capolavori. Uno dopo l’altro.

SI RIPARTE DALLA CINA – Paradossalmente, non ebbi mai l’onore di conoscere Nuccio Bertone. Prima di essere chiamato da Lilli, ho lavorato per trent’anni nei centri stile del torinese: nel 2009, mi volle come il nuovo direttore del design della Bertone Cento, con l’intenzione di sradicare il gruppo di dirigenti dallo Stile Bertone, compreso sua figlia, Marie Jean. A Caprie (sede della Bertone), in quel settembre del 2009, non c’erano né commesse né clienti. Dovemmo rincominciare da zero, rimboccarci le maniche; e dopo diversi viaggi in Cina abbiamo cominciato a lavorare di nuovo sul serio. Ho ricostruito il mio team di designer inserendo tanti nuovi talenti. Per tutti noi, quelli furono mesi di grande adrenalina: personalmente si trattava di un sogno che aspettavo di vivere da quasi quarant’anni!

PASSIONE SFRENATA – Lilli sapeva che avevo scoperto il mondo di car design a sedici anni, grazie al trasporto che mi suscitò la Stratos Zero di Bertone, e che mi spostai da Seattle a Torino appena laureato per iniziare la mia carriera mosso da quell’appassionante visione. Lei voleva che il front man della sua nuova Bertone avesse una passione sfrenata per il suo marchio. E con me l’aveva: il mio cuore batteva a mille; entrare in quella casa leggendaria per me fu un’esperienza indescrivibile e quotidiana.

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IL RITORNO CON LA PANDION – Mi ricordo le innumerevoli ‘pizza-night’ per riuscire a finire non solo i progetti per i nostri nuovissimi clienti cinesi, ma pure le concept car che sognavamo di presentare al Salone di Ginevra. E che in effetti arrivarono. Spiegavo a Lilli che dovevamo fare qualcosa di scioccante per il ritorno di Bertone a Ginevra dopo due anni di assenza e lei era d’accordissimo. L’Alfa Romeo Pandion fu commissionata da Sergio Cravero, allora ad dell’Alfa Romeo, per festeggiare il loro centenario, caduto nel 2010. Peccato che la richiesta arrivò solo quattro mesi e mezzo prima del salone! Senza batter ciglio Lilli mi diede l’ok. E partimmo. Lei, come il suo defunto marito, mi aveva dato ‘libertà eccessiva’ per creare la vettura del ritorno di Bertone: l’auto avrebbe dovuto segnalare al mondo che il livello del design, alla Bertone, era tornato a essere al top! E non l’abbiamo deluso. Il mio team di creativi, grazie anche ai miei due nuovi chief designer Adrian Griffiths e Carlos Arroyo, ha tirato fuori delle idee me-ra-vi-glio-se! Gli ingegneri, i modellatori (CAS, clay e gesso) e i costruttori dei prototipi hanno fatto miracoli: e alla conferenza stampa a Ginevra, Lilli era vistosamente orgogliosa.

CENTO ANNI – In punto di morte, Lilli aveva promesso a Nuccio che avrebbe superato il centenario della Bertone. E ce l’aveva fatta. Da quel giorno in poi, ogni concept car fu approvata da Lilli in prima persona. Io le raccontavo tutte le innovazioni del design e lei le argomentava una ad una. Ma dietro le quinte, la terza guerra mondiale stava crescendo a casa di Lilli. Già aveva dovuto negoziare la cessione di Carrozzeria Bertone a Sergio Marchionne dopo anni di battaglie con sindacati, banche e procuratori speciali. Nel 1997, Lilli nominò sua figlia Barbara responsabile della Carrozzeria Bertone, ma dopo varie vicissitudini il tribunale di Torino condannò madre e figlia per negligenza imprenditoriale; dando il via a una serie di guerre legali: tra madre e figlia, tra il procuratore e i Bertone, tra gli ex-dipendenti e Lilli. Si stava palesando uno scenario che Nuccio non avrebbe voluto.

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PEZZI (SEMPRE PIÙ) RARI – Ma non bastava. In tutto questo, le vetture del museo Bertone a Caprie erano legalmente proprietà di Carrozzeria Bertone: quindi Lilli dovette ricomprarle tutte! Anche il marchio Bertone e l’archivio di disegni Bertone furono riacquistati. Soldi, soldi, soldi. Non finivano più le brutte notizie. Alla celebrazione del centenario Bertone al MAUTO, nel 2012, mancavano sei gioielli automobilistici all’appello, venduti dal procuratore di Torino per cercare di incassare un po’ di soldi. Abbiamo presentato il prototipo centenario chiamata affettuosamente ‘Nuccio’ al Salone di Ginevra, in memoria del suo amato, defunto marito. La vettura fu concepita per ricordare vagamente quel capolavoro che vidi a sedici anni, la Stratos Zero. Il tetto era arancione, il colore preferito di Nuccio, ampiamente utilizzato in giro per Stile Bertone a Caprie.

MIKE, VITTORIA – Ce la fece! Lilli riuscì a mantenere la promessa fatta a Nuccio, guidando la nave in porto fino al centenario dell’azienda, caduto nel 2012. In quel periodo, il fatturato annuale era circa 26 milioni di euro, dagli ‘zero’ di quando arrivai nel 2009. Abbiamo vissuto periodi nei quali si accavallavano anche dieci progetti di automobili complete simultaneamente, con i miei trenta designer che lavoravano giorno e notte per preparare le nostre proposte. Ogni progetto era una battaglia, in competizione contro tre, anche quattro altre aziende di design. Andavo avanti e indietro in Cina una, due, persino tre volte al mese, per portare i progetti ai vari clienti. Non so cosa avremmo potuto fare di più. Lilli mi diceva, prima di ogni viaggio: “Mi raccomando Mike, porta a casa la vittoria!”. Lo feci tante volte anche se, si sa, non si può vincere ogni partita. Avevamo sale stracolme di tecnici cinesi che lavorando spalla a spalla con i nostri ingegneri per sviluppare progetti ‘chiavi-in-mano’. Le sale modelli al piano terreno erano tutte stracolme di maquette in scala 1:1 in elaborazione e i loro accessi erano gestiti grazie a chiavi elettroniche utili a far entrare solo i team interessati. I nostri program manager correvano come pazzi. Era un periodo meraviglioso. Intenso. Vittorioso. Multitasking. Oltre alle automobili abbiamo progettato anche treni (come il Frecciarossa 1000), elicotteri futuristici (Project Zero AgustaWestland), yacht, grattacieli e alberghi; sempre con un livello altissimo di creatività, di professionalità, e di divertimento. Abbiamo dormito poco, ma è valsa la pena.

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UNA SIGNORA – Insomma: con tutta quest’attività e questi successi, perché Stile Bertone è chiuso? Ottima domanda. Non lo sapremo mai. Dopo quattro anni e mezzo di durissimo lavoro, con fatturati invidiabili ogni anno ci hanno tolto il pavimento da sotto i nostri piedi. E dov’era Lilli? Era scioccata come tutti noi. Come per Carrozzeria Bertone, la perdita dello ‘Stile Bertone’ fu attribuita a lei, ufficialmente la padrona; ma la cosa non avvenne per mano sua. Non era una donna di ferro come la Thatcher. Non era nemmeno un grande designer come il suo amato Nuccio. Era una signora, nel vero senso della parola. Non aveva la competenza per controllare i colpevoli.

NESSUNA CONTINUITÀ – In realtà, a posteriori, io credo che il vero colpevole di tutto questo non possa che essere che Nuccio stesso. Avrebbe dovuto assumere una persona qualificata per gestire le sue aziende, che lui stesso aveva costruito con anni e anni di sforzi. Qualcuno come Andrea Pontremoli, il brillante ad della Dallara che sta portando l’eccellenza del genio Gianpaolo Dallara a livelli sempre più alti. Invece Nuccio ha scaricato tutto nelle mani della sua amata Lilli, ex segretaria, totalmente priva di esperienza manageriale. Povera Lilli: appena ricevette questo pacco regalo più grosso di lei, non sapendo che cosa fare, ha preso le due aziende, Carrozzeria Bertone e Stile Bertone, e le ha regalate alle due figlie. Il resto è storia. Sicuramente le figlie non c’entravano nulla con il crollo dello Stile Bertone. Come Lilli. Neanche noi designer, ingegneri, artigiani ecc. Sicuramente, tutto avrebbe meritato molto più rispetto. Ci mancherai Lilli.

Michael Robinson

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