Mille Miglia 1957: i cavalieri dell’apocalisse

Mille Miglia 1957: i cavalieri dell’apocalisse

Nel ’57 le corse sono un sorvegliato speciale: auto sempre più veloci, piloti sempre più a rischio in sella a quei draghi volanti. E corse sempre più pericolose. Troppo vivo, del resto, il ricordo di due anni prima a Le Mans. Eppure si prosegue. Maggio: il Mondiale Sport è in pieno svolgimento, il duello Ferrari/Maserati si combatte con armi affilate.

OTTO CONTRO DODICI. Il Tridente schiera la spaventosa 450 Sport con 8 cilindri 4.5 da 400 cv, Ferrari mette sul piatto le 290 S/MM che vengono presto aggiornate in 315 e 335 Sport. Maranello vince la prima gara, la Mille Chilometri di Buenos Aires (Gregory-Castellotti-Musso) ma il Tridente si rifà alla successiva 12 Ore di Sebring (Fangio-Behra).

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BRESCIA, CENTRO DEL MONDO. Il 12 maggio uomini e macchine si ritrovano a Brescia per la difficile, pericolosa, selettiva Mille Miglia. Le critiche sono feroci: le auto sono ormai dei missili (la Maserati 450 S dichiara 300 km/h) e le strade sono pubbliche, con una forte componente di piloti privati (con poca esperienza). Il rischio di un’altra strage incombe. Ci sono quasi 400 folli decisi a lanciarsi sul percorso Brescia-Roma-Brescia. Ore 5:30 del 12 maggio: dalla pedana di viale Venezia scendono sull’asfalto gli ultimi sette mostri su quattro ruote: l’orologio della vita continua a correre, ma per loro il tempo si ferma.

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530. Giorgio Scarlatti fa parte della squadra ufficiale Maserati da inizio stagione e si divide tra Formula 1 e gare Sport. Guida sia le 250F sia le barchette con 6 cilindri di due, tre o tre litri e mezzo a conferma di un’ottima versatilità. Scende dalla pedana con una 300S.

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531. Alfonso Antonio Vicente Eduardo Ángel Blas Francisco de Borja Cabeza de Vaca y Leighton, marchese di Portago, è in coppia con l’Amico Edmund Nelson su una Ferrari 335 Sport ufficiale. ‘Fon’ è il prototipo del pilota gentleman: nobile, giovane (28 anni), talentuoso, bello, ricco e incosciente. Vive solo per cercare uno sfogo alla noia. Lo trova, per ora, nelle auto da corsa. Poi passerà ad altro. Quella mattina, a colazione, in albergo, si rovescia il tè sui pantaloni. È molto scaramantico. A Roma l’attrice Linda Christian, sua fidanzata, lo aspetta per un bacio: ha promesso di sposarlo.

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532. Il conte Wolfgang Berge Graf Von Trips guida una Ferrari 315 Sport ufficiale. Il nobile tedesco, nonostante la salute cagionevole, esibisce talento e grandi qualità che, dopo un apprendistato su Porsche e Mercedes, nel ’57 gli fanno guadagnare un volante in Ferrari.

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533. Il tedesco Hans Herrmann è su una Maserati 350 Sport ufficiale molto speciale. Il terzo degli esemplari della 350, evoluzione della 300, è equipaggiato con un 12 cilindri sperimentale di 3,5 litri.

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534. Peter Collins, un lord con casco e tuta (al GP di Monza dell’anno prima ha ceduto la vittoria al rivale Fangio), divide l’abitacolo di una Ferrari 335 S ufficiale con il fotografo Louis Klemantaski (che scatterà foto meravigliose lungo il percorso).

535. Piero Taruffi guida la Ferrari 315 Sport ufficiale (forse è una 335). L’ingegnere-pilota romano ha già corso diverse Mille Miglia ma non ha mai vinto (è arrivato terzo nel ’33 con l’Alfa Romeo 8C 2.3 della Scuderia Ferrari). Si presenta in pedana a 51 anni suonati ed è il suo ultimo tentativo: ha promesso alla moglie di smettere con le corse.

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536. Jean Behra avrebbe dovuto partire con la Maserati 450 S ufficiale. Invece il pilota francese ha un incidente in prova: si rompe un po’ ovunque e rende inservibile il suo ‘bestione’.

537. Stirling Moss è con il suo fedele scudiero Denis Jenkinson con una Maserati 450 Sport. Il campione inglese, vincitore nel ’55, è il favorito.

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Un commento su “Mille Miglia 1957: i cavalieri dell’apocalisse”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    Anche se nelle immagini è in bianco e nero e non rosso sangue di bue, la 335 S, mette i brividi.
    Fu la barchetta della strage di Guidizzolo, quella dell’ultima Mille Miglia del 1957.
    Tutto finì così, il marchese di Portago, la Mille Miglia, tanta povera gente e bambini entusiasti.
    “Motorsport is dangerous” c’è scritto sul biglietto, ma tutta quella povera gente e i loro bambini erano lungo la strada napoleonica che collegava Mantova a Brescia non erano sule tribune di un circuito.
    Non fu colpa di Enzo Ferrari, di Englebert, degli occhi di gatto o del marchese di Portago.
    Fu un’assurda, collettiva pazzia.
    Bisognava fermarla prima quella pazzia, ma non bastò la sciagura di Bologna nel 1938 a fermarla.
    Ci vollero molti più morti.

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