Sei come 6 e le altre moto pluricilindriche

Sei come 6 e le altre moto pluricilindriche

All’inizio si pensò subito a un ufo. Forse una meteorite, che le scie chimiche negli anni ’20 non esistevano ancora. Fatto sta che una mattina, in una fabbrica di Detroit, nel Michigan, gli operai scoprono un oggetto non identificato: in mezzo alle quattro cilindri che stavano costruendo, ne compare una che ne ha 6. Gridano alla mutazione genetica e si diffonde subito il panico. Ma mentre il capo officina corre ad avvertire Tom, uno dei due fratelli Henderson, incontra l’altro, Will, quello con la moto nel sangue, che sta trafficando di fianco al trattore usato come muletto. E si accorge che gli manca il motore… Rientrato il panico, questa soluzione continuerà comunque ad avere un che di diabolico perché qualcuno si azzardi a riprovarci.

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NOI CI PROVIAMO LORO CI RIESCONO. Ne passano trenta, di anni, e a riprovarci ci pensiamo noi, i soliti italiani. Per la precisione quelli della MV Agusta che, nel 1957, fanno le cose in grande e costruiscono addirittura due prototipi, un 350 e un 500 cc. Che però rimangono roba da museo. Il ‘sei’ ha un problema, anzi due: aumenta il peso, maggiora le dimensioni e in cambio non dà poi tutta questa potenza in più. Bisognerà aspettare i giapponesi della Honda con la loro 250 da gran premio per veder correre e (stra)vincere un 6. Siamo nel 1965, il quarto di litro è quattro tempi, bialbero, 24 valvole e tira fino a 17mila giri. Una bestia, anche di affidabilità, visto che vince dieci delle dodici gare del campionato. Va detto che la moto aveva un’arma segreta, il manico: l’immancabile Mike Hailwood.

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DAI CORDOLI AI GUARDRAIL. Anni ’70, i giapponesi democraticizzano il 4, conquistando il mondo a suon di Four, ma un gran genio del motorismo oriundo, non ci sta, e più che un asso, cala un jolly: la prima moto a 6 cilindri prodotta in serie. Un’anteprima mondiale, lui è Alejandro De Tomaso, lei la Benelli Sei. Ed è subito boom, almeno dal punto di vista mediatico. Prima 750 (più bella), poi 900 cc (più sexy), la Sei ostenta un balconcino da maggiorata che fa innamorare anche gli automobilisti. Oltre al primato del numero di cilindri, carburatori e marmitte, la Benelli ha anche quello dell’impianto frenante, il primo Brembo di sempre su una moto (con dischi pieni da 300 mm). Purtroppo il progetto è un passo più lungo della gamba, soprattutto quando anche i kamikaze arrivano sul mercato con le loro pluricilindriche. E davvero non ce n’è più per nessuno.

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La prima sei del Sol Levante è stata la CBX. Una Benelli rivista e corretta di 1000 cc e 105 cv, un peso importante (nell’ordine dei 300 kg), rimane in produzione fino al 1982. Ma il vero Godzilla nipponico è la Kawasaki Z1300, prodotta per un decennio (1979-1989), che superava i 220 km/h. Un motore che sembra Terminator, con le linee squadrate che andavano di moda allora, ha la trasmissione finale a cardano. Insomma, è sostanzialmente una macchina a due ruote, anche per il peso non indifferente che superava i 330 chili. Numeri che la fanno entrare nell’iperuranio delle hyper-bike dalla porta principale. Non deve sorprenderti, quindi, che nel 1982, quel pistolatore folle di Sbarro, svizzerotto col pallino dei colpi di testa pirotecnici, metta insieme un 12 cilindri in linea accoppiando proprio due motori Kawasaki (per la cronaca, ogni motore comandava la “sua” ruota posteriore) per cavarne la Sbarro Super Twelve.

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Ma anche Suzuki, in tempi molto più recenti, ha accarezzato l’idea del ‘sei’. Era il 2005 e al Salone di Tokyo viene mostrata una futuribile show bike, la Stratosphere, una Katanona di 1100cc, con 24 valvole e 180cv. Che rimane ancora un sogno nel cassetto.

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C’è un’altra ‘sei’ col look esotico (ma che è arrivata nei concessionari), è la Horex VR6: 1128 cc, tre valvole per cilindro, con oltre 160cv. Il V6 di questa café racer ha un’inclinazione tra i cilindri di soli 15 gradi.

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BESTIE DA SOMA. Ti sei intrippato. Lo so, sei cilindri hanno sempre il loro perché. Ma sei sposato con una che si è rotta le scatole dei sellini formato tanga delle supersportive. Meglio così. Perché oggi, a parte la Horex, appunto, se vuoi una pluricilindrica devi puntare su pachidermi a due ruote, che non solo mascherano il sovrappeso del motore, ma esaltano la morbidezza dell’erogazione. Trasformando un viaggio qualsiasi nella vacanza della vita. Te le ho vendute bene? Adesso, prima di guardarle è meglio che ti siedi, perché le moto belle sono altre. Ma queste sono le uniche tourer a sei cilindri: Honda Goldwing (che dal 1987 ha aggiunto due cilindri al boxer e che adesso è cresciuto fino a 1800cc) e BMW K1600 GTL. Vuoi sentire come suona un ‘sei’ senza uscire di casa? Nel sito Bmw c’è quello in linea, in quello Honda, il boxerone. Adesso sì che puoi richiudere gli occhi e tornare a sognare.

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Un commento su “Sei come 6 e le altre moto pluricilindriche”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    L’ing. Giulio Alfieri progettò nel 1977, il mitico V6 Laverda Bol d’Or, aperto a 90 gradi, twin-cam, quattro valvole per cilindro, raffreddamento a liquido e sei carburatori monocorpo invertiti, oltre al telaio a diamante per inserire trasversalmente il V6 cinematicamente allineato alla trasmissione finale ad albero cardanico, supportata strutturalmente dal forcellone a traliccio.
    Un approccio ingegneristico all’avanguardia che rappresentò il primato tecnico Laverda, ma che non fu mai prodotto in serie, deludendo così le aspettative degli appassionati.
    Purtroppo, questa icona a sei cilindri, non calò mai le piste, perché nel 1979 fu cambiato il regolamento del campionato di Endurance impedendo alle moto con più di 4 cilindri di correre.
    Laverda che rifletteva tutto il suo carisma nelle corse Endurance, privata del suo terreno di confronto in pista, non sviluppò più il progetto V6 finalizzandolo per la produzione di serie.
    Le difficoltà economiche in cui versava Laverda, consegnarono il progetto dell’ing. Alfieri alla storia.

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