Sì, c’è stato un raduno Arna al Museo Alfa…

Sì, c’è stato un raduno Arna al Museo Alfa…

SI FA PRESTO A DIRE “ALFISTA”. Troppo facile proclamarsi “alfisti” doc sfrecciando su una Giulietta, una Giulia o un’Alfetta. Però l’ultima frontiera della fede incrollabile nel sacro “Biscione” si chiama Arna: un nome che, fino a ieri, avrebbe messo in serio imbarazzo anche il più sfegatato fan della casa milanese. Che l’Arna non sia piuttosto bruttina è evidente anche agli esteti alle prime armi, perché la scocca della Nissan Cherry degli anni ’80, così naïf e squadrata da sembrare disegnata da un bambino poco portato per il disegno, è quel che è. Vale a dire qualcosa di lontano anni luce dalle grandi Alfa firmate da Bertone, Pininfarina, Touring e Zagato.

Alfa Romeo ArnavTANTE E TUTTE INSIEME: L’AVRESTE MAI DETTO? Ma come recita il proverbio: l’abito non fa il monaco. E infatti è proprio a causa di quel che c’è sotto il vestito – cioé il motore e il cambio validissimi dell’Alfasud – che domenica 13 settembre, al Museo Storico Alfa Romeo di Arese, è arrivato un folto pubblico, incuriosito dall’idea di scoprire qualcosa di più sull’Arna. Infatti, nonostante questo “brutto anatroccolo” sia stato uno dei modelli più snobbati e sottovalutati di tutti i tempi, sul “pistino” del museo c’erano undici esemplari a scorrazzare scoppiettanti. Così tante Arna una dietro l’altra, forse, non le avevano viste nemmeno gli operai che le assemblavano a Pratola Serra (per lo più a mano, visto che gli avanzatissimi robot previsti all’inizio non arrivarono mai).

Alfa Romeo ArnaUN PO’ DI STORIA. La scelta di di mettere in piedi appositamente una fabbrica “ex-novo” ai piedi di un paesino di meno di quattromila anime in provincia di Avellino, fu scellerata. Soprattutto perché a una cinquantina scarsa di chilometri, per colpa della brutta crisi in cui l’Alfa aveva cominciato a scivolare già negli anni ’70, funzionava a mezzo servizio una cattedrale ultramoderna come l’Alfasud di Pomigliano d’Arco. Ma le logiche politiche prevalsero su quelle industriali. E l’Alfa Romeo, che all’epoca era un’azienda di stato, non poteva dire di no alla Democrazia Cristiana. Anche per questo la storia dell’Arna è intrisa di quel fascino, un po’ triste e amaro, che circonda tanti, troppi fallimenti dell’industria italiana. 

Alfa Romeo ArnaPRODUZIONE CONTINGENTATA. Arna è un acronimo e sta per Alfa Romeo Nissan Auto, che oltre alla vettura, in pratica una Nissan Cherry con una meccanica all’80% identica a quella dell’Alfasud, è anche il nome della società paritetica costituita nel 1980 dai due costruttori con l’obiettivo di assemblare e vendere in Italia e nel resto d’Europa circa 60.000 vetture all’anno. Era un quantitativo stabilito dai governi italiano e giapponese che, per tutelare le loro case automobilistiche, avevano stabilito il limite dell’1% sulle importazioni di vetture straniere. Le intenzioni erano ottime e avrebbero dovuto portare vantaggi a entrambe le parti: la scocca nipponica costava pochissimo all’Alfa, perché lo yen era ai minimi storici, mentre per la Nissan che stava cominciando a macinare buoni numeri in Nord America, si prospettava un’occasione ghiotta per mettere un piede in Europa.

Alfa Romeo ArnaLE RAGIONI DEL FLOP. Ma come mai alla fine andò tutto storto? La qualità dell’auto non rispecchiò le attese e il suo essere così “anonima” nel look in rapporto alle altre Alfa non fu certo d’aiuto. Così l’iniziativa fallì miseramente e per l’Alfa fu quel colpo di grazia che era nell’aria da tempo, così, nel 1986, l’IRI scelse di privatizzarla cedendola al gruppo Fiat. Che non era interessato all’Arna e ben presto riconvertì le linee di Pratola Serra per la produzione di motori. Ma fu peccato anche perché il progetto contemplava evoluzioni interessanti: una seconda serie ridisegnata, la carrozzeria station wagon e addirittura versioni a quattro ruote motrici che, almeno sulla carta, avrebbero potuto infastidire le nuove e 4×4 “modaiole” che stavano cominciando ad affermarsi.

SEI POSSONO BASTARE? Alla fine, tra il 1983 e il 1987, furono prodotte meno di 60.000 Arna: in pratica quelle che, nei piani iniziali, dovevano essere costruite in un anno. Ma a chi oggi ne guida una, di questo importa poco o nulla. Eugenio Avitabile, di Avellino, ne ha addirittura sei in garage, ma ci tiene a precisare di non essere matto. Una l’ha tirata fuori apposta per raggiugnere Arese dall’Irpinia e unirsi alla grande festa insieme all’amico carrozziere Franco Vinciguerra. “Vidi un’Arna non mia nel 2008 e in me si accese immediatamente una gran curiosità, al punto che – confessa – ho iniziato a cercarne una dietro l’altra e da allora non mi sono più fermato”.

Alfa Romeo ArnaEREDITÀ FAMILIARI. Quella per l’Arna è una passione di famiglia per Marco Persico, fondatore con il fratello Andrea del club Alfa Roma e meccanico di Alfa d’epoca nella capitale: “Papà ne comprò una nuova nel 1985. Da allora – ci racconta dando piena voce al boxer ad alimentazione singola della TI bianca con cui è arrivato ad Arese con Andrea – in casa abbiamo avuto solo Alfa. Ed è grazie all’Arna se siamo “alfisti” sfegatati e se io faccio questo mestiere, perché ho cominciato a lavorare da ragazzino proprio nell’officina autorizzata Alfa Romeo di Roma, dove mio padre portava l’auto a fare i tagliandi”.

MA IN GIAPPONE VALE UNA FORTUNA. Quando scopriamo che in Giappone, per un’Arna in perfette condizioni, c’è chi è disposto a spendere anche l’equivalente di più di 20.000 euro, pensiamo subito a uno scherzo. Ma la fonte è certa: in un videomessaggio proiettato al museo durante la conferenza di approfondimento, ce lo ha confermato Yoshihisa Hayata, giornalista giapponese tra i primi ad aver approfondito la storia di quest’auto. Senza andare dall’altra parte del mondo, comunque, al museo abbiamo ritrovato con piacere Ronald Aarts, appassionatissimo olandese che avevamo conosciuto un anno fa alla grande festa per i cinquant’anni dell’Alfasud: “È bello vedere così tanto entusiasmo per un’auto fino a ieri quasi dimenticata”. Sta a vedere che – in fondo, in fondo – quel famoso slogan aveva ragione. Ve lo ricordate? “Arna. E sei subito alfista”…

Foto: Alessandro Vago e Museo Storico Alfa Romeo

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