Sliding door: le monoporta scorrevole

Sliding door: le monoporta scorrevole

La BMW Z1 dell’88 ha fatto epoca. La Casa tedesca ha creato una magnifica instant classic (auto di produzione corrente ma subito da collezione). Con un punto di forza: le sue eccezionali porticine scorrevoli. Prima di lei solo la Kaiser Darrin c’aveva provato. Ai giorni nostri, con la Peugeot 1007 (2005) questo layout è diventato ‘di massa’. Oggi le proposte sul tema sono diverse ma nessuno ha ancora prodotto una supercar con monoporta scorrevole. Del resto: quale incosciente ci toglierebbe la libidine di portiere tipo quelle della Lamborghini Countach, Koenigsegg Agera o Bugatti EB110? Ecco qualche ricordo di prototipi. Con un paio di precisazioni: consideriamo la ‘scorrevolezza’ anche in senso lato, non pari all’esatto scivolamento e tralasciamo la pur fascinosa Renault Tresor del 2016 perché molto recente.

Aruanda Fissore

Aruanda Fissore

ARUANDA FISSORE 1963. All’inizio degli Anni ’60 il Brasile punta su auto grandi, opulente. Il giovane studente Antonio da Rocha ha un’idea precisa: la città è fatta per le persone, non per le auto. Spinto da questo ideale immagina una vettura compatta, economica, ecologica e accessibile. Il progetto promuove l’utilizzo più razionale dello spazio pubblico. Secondo lo stesso progettista, la concezione di base della proposta è di ‘vestire’ una persona (circa 75 kg) e un bagaglio minimo con un’auto per uso urbano, con dimensioni molto piccole (circa 2,40 m x 1,70 m x 1,40 m) e un peso di circa 400 kg. Anche secondo la visione attuale il progetto esplora diversi concetti inediti per quegli anni e affrontati molto dopo: corpo monocabina a forma di cuneo, ampia superficie vetrata, anello di protezione in gomma intorno alla vettura e porte scorrevoli avvolgenti. Ha bagagliai davanti e dietro e serbatoi di carburante su entrambi i lati, interconnessi. Internamente, è molto innovativa: sedili e volante regolabili, impianto di ventilazione controllata e plancia imbottita. La Aruanda debutta al Salone dell’Auto di San Paolo del ’64. Il clamore è tale che Pininfarina, Michelotti e Fissore propongono ad Ari da Rocha la costruzione di un prototipo marciante. Il giovane designer sceglie quest’ultimo. Il motore scelto è il bicilindrico Fiat della 500 da 25 cv installato in coda e unito al cambio a 4 marce. La Aruanda riceve anche sospensioni indipendenti sulle quattro ruote e sterzo con un raggio molto ridotto, meno di 6 metri. Debutta al Salone di Torino del ’65: è parcheggiata nello stand di Fissore su un pavimento che imita il marciapiede di Copacabana. Viene valutata la proposta più innovativa del Salone, riceve varie copertine sulla stampa e attira l’attenzione dell’Industria su Fissore in vista di una possibile produzione in serie. Ma le numerose trattative (le locali FNM e Gurgel, la giapponese Honda) non andarono a buon fine. Solo nel ’98 la Smart ha iniziato a invadere il mercato europeo. Il prototipo fu perso in un’inondazione, per essere poi restituito allo stesso Ari più di 20 anni dopo. Il suo restauro è stato completato nel 2010. 

Toyota Publica Sports Concept

Toyota Publica Sports Concept

TOYOTA PUBLICA SPORTS CONCEPT 1962. Lanciata nel ’61 come un’auto pratica e versatile, la Toyota Publica era una tre volumi adatta alla famiglia. Ma nell’industrioso Giappone si riflette sulla necessità di dimostrare il valore dell’industria automobilistica con qualcosa di più emozionale. Su questi presupposti parte il progetto della Toyota Publica Sports. Sulla medesima piattaforma è sviluppato un corpo vettura con la parte sopra la linea di cintura molto particolare: la greenhouse scivola all’indietro sicché per entrare in abitacolo è necessario scavalcare il bordo superiore e calarsi sui sedili. Si può lasciare il tetto ‘aperto’ e creare così l’effetto di una carrozzeria tipo Targa. Ma è anche possibile sganciare l’intera copertura dell’abitacolo e trasformare la Publica in una roadster al 100 percento. Il motore è un bicilindrico boxer di 700 cc con raffreddamento ad aria e circa 30 cv. Nell’aprile del ’65 ecco il modello definitivo, la Sports 800. Il telaio è un monoscocca in acciaio con parti in alluminio. Purtroppo l’esotico tetto scorrevole ha lasciato il posto a un lunotto fisso con tetto rimovibile. Il motore è cresciuto a 800 cc e la potenza a 45 cv. Il peso è di circa 580 kg. e la velocità massima di 100 miglia orarie (160 km/h).

Holden Hurricane RD001

Holden Hurricane RD001

HOLDEN RD001 HURRICANE 1969. Nel 1968 l’Europa ‘si agita’ mentre in America la cultura hippie è un nuovo straordinario (per il significato culturale che ha portato) modus vivendi. Dall’altro lato del pianeta l’Australia è un universo lontano: koala, canguri, l’Ayers Rock… Ma c’è anche un florido mercato dell’auto. La Holden (del Gruppo General Motors), produce la Monaro, piuttosto somigliante alla nostra Opel Kadett. Ma anche l’Oceania avverte la necessità di dimostrare a se stessa e al mondo di saper fare automobili. Viene perciò lanciato il progetto di una concept car eterea e futuristica, qualcosa di stupefacente che faccia eco anche in Europa. Questo veicolo di emozionalità maiuscola rappresenta un doppio trampolino di lancio: il primo progetto del nuovo reparto di Ricerca e Sviluppo della Holden e un nuovo V8 a carburatori per il mercato locale, il Type 253. Al Salone di Melbourne di inizio ’69 prorompe il Concept RD001, ribattezzata Hurricane. Questa sorta di ‘foglio’ che accarezza il terreno è alta meno di un metro e ha un’unica porta che, aprendosi, avanza sollevandosi leggermente. Ma non solo. È equipaggiata con la telecamera posteriore, una specie di navigatore satellitare e l’aria condizionata. Resta uno stupefacente esercizio di meraviglia tecnico-stilistica. Dopo decine di anni in abbandono, in epoca recente è stata completamente restaurata.

Ferrari Modulo Pininfarina

Ferrari Modulo Pininfarina

FERRARI MODULO PININFARINA 1970. Un volo nell’infinito senza alcun problema circa il… punto d’arrivo. Il ‘Modulo’ di Pininfarina, allestito sul telaio di una 512 S, è senza dubbio uno dei prototipi più sconcertanti della Storia Ferrari. Presentata al Salone di Ginevra del 1970, è lontana anni-luce da qualsiasi possibilità di arrivare alla produzione in serie. Non fu possibile individuare per lei una fattibilità. Per non dire che la sua stessa storia iniziò in sordina ma, quando divenne realtà, fu acclamata come uno dei design più influenti della storia dell’Automobile. L’idea fu del designer Paolo Martin il quale, come sempre avviene in questi casi, concepì il design in modo casuale. L’obbiettivo, come lui stesso ha raccontato molti anni dopo, fu la creazione di una forma al limite del concepibile, qualcosa di così avanti e inusuale da essere realizzabile per forza. Perché, in fondo l’obbiettivo era che se ne parlasse. Inizialmente il Presidente Sergio Pininfarina dimostrò scetticismo: era anche troppo visionaria e la mise nel cassetto per mesi. Ma Martin, l’unico a crederci, produsse di nascosto un modello in polistirolo. Che fu valutato e funzionò come una scintilla. La Modulo continuò a eccitare le piazze fino agli Anni ’80 inoltrati: una scultura alta 93,5 centimetri e larga 204. L’accesso all’abitacolo è sensazionale. L’unica porta è parte integrante della greenhouse: questa scivola in avanti e apre l’accesso al cockpit. In anni recenti alla Ferrari Modulo è stato donato un cuore ed è diventata marciante (qui per saperne di più).

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