#sparafangaweek/1: le curvy a quattro ruote

#sparafangaweek/1: le curvy a quattro ruote

La #sparafangaweek è dedicata a tutte le auto che hanno fatto dell’esagerazione nel trattamento dei parafanghi il loro tratto distintivo. E, sopratutto, è dedicata a tutti voi che le amate. La narrativa di questa ‘specialità’ automobilistica è sterminata e vale la pena ricordare che la genesi di questi fianchi larghi è sempre da attribuire alla sinuosità di certe forme o alla necessità di coprire l’eccesso, l’oversize, una qualche forma di esagerazione. E tutto questo è sexy, certo. La prima rassegna della #sparafangaweek è tutta qui. Le altre, a partire da domani e fino al termine della settimana. Buona lettura.  

ALFA ROMEO 33 STRADALE (1967). All’inizio dell’aprile ’67, l’Alfa Romeo 33/2 Periscopica comincia la stagione del Mondiale Sport a Sebring, ma è ancora ‘acerba’ ed è costretta al ritiro. Per tutto l’anno soffre la messa a punto non definitiva e i risultati scarseggiano. In questa atmosfera di limbo, in cui il meraviglioso fiore di Arese deve ancora sbocciare, al Salone di Torino dell’ottobre ’67 il gioiello della Casa milanese incanta il pubblico in versione omologata per la strada: telaio in acciaio e magnesio, favoloso V8 due litri a iniezione da 230 cv a 8800 giri. Grazie a soli 700 kg di peso sfiora 260 chilometri orari (0-100 km/h in 5″5). È un capolavoro. A questo contribuisce anche lo stile di Franco Scaglione: compatto, apoteosi di curve, in cui rifulgono i parafanghi larghi, avvolgenti e burrosi. Viene inserita con nonchalance in listino a poco meno di dieci milioni di Lire (contro gli oltre quindici di una Rolls Corniche Cabriolet). Ne vengono costruite (forse) diciotto, tutte rosse tranne una, di colore blu.

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VOLKSWAGEN GOLF RALLYE G60 (1989). Al Salone di Francoforte dell’autunno’83 viene lanciata la Volkswagen Golf MK2 e nel 1986 ecco l’innovazione ‘epocale’: la testata bialbero con 16 valvole porta la potenza della 1.8 GTI 16v a 139 cv e nell’88, sul propulsore con testata ‘normale’, l’applicazione del compressore volumetrico decreta la nascita della GTI G60 da 160 cv. Sembra la Golf top di gamma ma c’è un ultimo gradino per la vetta. Sul finire dell’88 la Volkswagen annuncia la Rallye G60. La regina delle Golf ‘tenta’ di vestirsi con un abito vistoso ed esclusivo per trasformarsi in un instant classic e provare (inutilmente) di spodestare la Delta Integrale. Meccanicamente è una G60 (160 cv a 5500 giri) con trazione integrale Syncro. Stilisticamente è un incredibile colpo d’occhio: grande, sofisticata… ‘tanta’! Calandra in colore carrozzeria, fari rettangolari al posto delle due coppie di luci tonde e fianchi generosamente allargati.

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NISSAN JUKE R (2011). La Nissan Juke debutta nel marzo 2010 a Ginevra, ma già in autunno escono le voci di una versione R con motore e trasmissione della GT-R (V6 3,8 litri biturbo, 480 cv, cambio robotizzato a doppia frizione, trazione integrale). La prima foto ufficiale arriva nell’ottobre 2011. La Juke R è il mini-mostro che dà sostanza al desiderio nascosto e incosciente di avere in real life un crossover medio-piccolo e con connotati da supercar. “A che serve – si pensa in quei giorni – una Juke che va come una Porsche 911 Turbo? Non è chiaro, intanto la facciamo, poi si vedrà!”. Volumi e proporzioni sono più o meno gli stessi. Ma, poi, volgendo lo sguardo verso quei passaruota larghi come un bigné, chiunque ha – almeno per un millesimo di secondo – desiderato di averla. In principio dovevano esserne prodotti due esemplari, ma poco dopo il programma si è allargato all’intenzione di costruirla su richiesta. Al Goodwood Festival Of Speed del 2015 viene presentata in versione 2.0 con scheda tecnica ‘seria’ (600 cv, 0-100 km/h in 3″5, 280 km/h), prezzo (circa 600mila dollari) e programma di produzione da inizio 2016 (circa venti esemplari).

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MERCEDES SL65 AMG BLACK SERIES (2008). L’aver allargato all’inverosimile i fianchi di una Mercedes SL e averla trasformata nella più oltraggiosa della storia del modello (196 cm di larghezza contro i 183 di un’SL 320) basta a riservarle un posto nell’Olimpo delle sparafangate. La più colossale delle SL della famiglia R230 pesa 1870 kg – un’enormità – eppure sono 250 kg in meno rispetto alla SL 65 AMG. Presenta, inoltre molte modifiche a livello meccanico tra cui tetto in fibra di carbonio e gabbia roll-bar integrale. Il V12 biturbo di 5980 cc produce 670 cv a 5400 giri, la coppia massima è di 1000 Nm tra 2200 e 4200 giri. È inoltre fornita di giganteschi freni a disco in carboceramica (da 390 mm davanti e 360 mm dietro), indispensabili viste le prestazioni: 0-100 km/h in 4″1, 306 km/h. Al lancio costava 354mila euro.

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MASERATI SHAMAL (1989). Il 14 dicembre 1989, due settimane dopo le celebrazioni dei 75 anni dalla fondazione della Maserati, Alejandro De Tomaso presenta la Maserati Shamal. Il vento del Tridente è una ‘super Biturbo’ basata sulla piattaforma della Karif e della Spyder. Sotto al cofano c’è un V8 biturbo di 3,2 litri capace di 326 cavalli. Il telaio offre sospensioni anteriori McPherson e posteriori a trapezio con ammortizzatori Koni a controllo elettronico e regolazione su quattro posizioni. Alla trazione posteriore è abbinato un cambio manuale a sei marce. Dello stile colpiscono il taglio geometrico dei passaruota e la larghezza dei fianchi, particolare che contribuisce ad allargare quel senso di maestosa possanza che l’avvolge. Le prestazioni incantano: 0-100 all’ora in 5″3 e velocità massima di 270 km/h. Entra in produzione nel 1991 e costa circa 120 milioni di Lire. La produzione si ferma a soli 369 esemplari.

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PORSCHE 911 (930) TURBO 3.3 (1977). Al Salone di Francoforte del 1974 la Porsche presenta la 911 Turbo 3.0. Ma dall’1 agosto ’77, sul nuovo model year ’78, debutta la Turbo 3.3, un’autentica svalvolata. Il nuovo boxer sei cilindri 930/60 sale da 3 a 3,3 litri con cilindri rivestiti in nikasil, supporti maggiorati, compressione da 6,5 a 7:1 e un nuovo intercooler sotto l’ala posteriore, che diventa ancora più grande. Lo spoiler inoltre riduce la temperatura dell’aria che entra nella girante del compressore di varie decine di gradi. La potenza cresce a trecento mostruosi cavalli a 5500 giri, la coppia a 412 Nm a 4000 giri. La performance è terrificante: 0-100 km/h in circa 5″, velocità massima 260 km/h. Alle prestazioni la Turbo 3.3 affianca un design incofondibile . Se sulla Carrera 3.0 la larghezza era cresciuta a 165 cm dai 161 della 2.7, sulla Turbo i fianchi posteriori si allargano fino a 177,5 cm facendola diventare una… curvy.

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ASTON MARTIN ONE-77 (2009). Vulcan (2015), Valkyrie (2019, consegne ancora in attesa di iniziare) e Valhalla (2021-2022) sono l’apoteosi della produzione Aston Martin ma tutte hanno il loro più illustre precedente nella grandiosa One-77 del 2008. Mentre le prime tre sono tre oggetti dell’iperspazio, la One-77 è, per certi versi, più sconvolgente: perché è una specie di DB9/DBS all’ennesima potenza, una belva che, rispetto alle sue sorelle minori, è stata schiacciata verso il suolo e allargata senza limiti. È così nata una spettacolare hypercar (prezzo indicativo, all’epoca di oltre un milioni di Sterline) con telaio misto metallo/carbonio, dodici cilindri a V di 7,3 litri, 750 Nm per oltre 350 km/h di punta massima. La produzione come suggerisce il nome si è fermata a 77 esemplari.

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Un commento su “#sparafangaweek/1: le curvy a quattro ruote”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    Franco Scaglione, genio solitario del design di carrozzeria, studioso di aerodinamica, creatore d’eleganza non creava widebody per carrozzerie “Need for Speed”.

    Creò aerodinamiche forme pure, funzionali a fendere l’aria ad alta velocità.

    Tante ne fece Scaglione, ma la più ammirata e memorabile fu l’opulenta 33 Stradale.

    Come descriverla?
    Come descrivere la famosa apertura delle portiere a mantide arrabbiata, la continuità della curvatura delle superfici vetrate fino a tetto della cupola a goccia che si immerge nel corpo vettura, le curve formose dei parafanghi con le prese e gli sfoghi dell’aria, i grandi fari che diventano aerodinamici grazie all’estesa carenatura trasparente, in armonia con le linee curve.

    I punti di forza del design della 33 Stradale rappresentano la soluzione dei problemi.

    Il problema principale era rappresentato dall’altezza della vettura di soli 99 cm. che rendeva difficoltoso scendere e salire nell’abitacolo.

    Fu proprio per risolvere questo problema che Franco Scaglione ideò l’apertura verticale delle porte insieme a parte del tetto.

    Una vettura incredibilmente stabile, che anche in caso di vento trasversale, continuava a viaggiare dritta. Questo era il risultato della sintesi aerodinamica della 33 Stradale.

    Fondamentale è ciò che non si vede: il telaio Fléron.

    Una struttura a due tubi di Peraluman H350 (lega di alluminio e magnesio al 6%) da 200 mm. di diametro e 2,5 mm. di spessore rivettati e collegati tra loro da una traversa tubolare che formava un telaio perimetrale a forma di H asimmetrica.
    La traversa era posizionata tra i sedili e il motore. All’interno erano inseriti i serbatoi del carburante da 98 litri. L’estremità anteriore del telaio era vincolata a una struttura che supportava le sospensioni, gli organi dello sterzo, la pedaliera, il cruscotto e i radiatori dell’acqua e dell’olio.
    Il telaio si chiudeva posteriormente all’altezza del motore con due longheroni che si restringevano e si univano attraverso una seconda traversa quadrangolare d’acciaio alla quale erano vincolati cambio e sospensioni.

    La 33 Stradale era spinta da un V8 ultraquadro progettato da Giuseppe Busso di soli 2 litri, alimentato da un sistema di iniezione meccanica Spica e con un rapporto di compressione di 10:1 erogava 230 CV a 8.800 giri, quanto bastava ad arrivare a 260 km/h.

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