Triple. Lo chiamavano Trinità

Triple. Lo chiamavano Trinità

Adesso che sei abituato a trovarlo anche sotto il cofano di molte macchine fa meno effetto, certo. Ma prova a pensarlo quando arrivò sul mercato, il tre cilindri. Erano gli anni ’60, i quattro delle ‘fabulous’ Four erano dietro l’angolo e mono e bicilindrico avevano dato tutto quello che potevano dare. Vibrazioni comprese. E così, a qualcuno lassù in Inghilterra viene in mente uno strano pluricilindrico, con la dolcezza di un sei e l’ingombro di un due: il triple, appunto. Questo tris di pistoni, solitamente in linea e montato trasversalmente (anche se nel corso della storia si sono intravisti un tre Guzzi e pure uno Harley), arriva alla moto passando dai trattori della Massey Ferguson, ampiamente motorizzati dai Perkins AD3.152 (un tre cilindri diesel a iniezione diretta). Questi inglesi…

Tre cilindri 18

NON C’È DUE SENZA TRE. In effetti, quando in Triumph si cominciò a pensare al motore che finì sulla Trident, gli ingegneri Doug Hele e Edward Turner partirono proprio dal bicilindrico parallelo che avevano pronto in casa. E, una volta tagliato a metà, ci piazzarono dentro quel terzo incomodo. La leggenda metropolitana che il cilindro centrale abbia la tendenza a grippare perché mal raffreddato parte proprio da qui. Nonostante le malelingue, però, questo nuovo motore è pronto per partire all’attacco del mercato più ghiotto del mondo. Quello a stelle e strisce. Così, negli Stati Uniti, quasi simultaneamente alle Honda Four, escono queste inglesine. Originali anche nella linea. Un esempio? La X-75 Hurricane, col quel serbatoio super snello che continua nei fianchetti…

Tre cilindri 11

DAL GIAPPONE CON ARDORE. Nel frattempo, nel Paese del Sol Levante non sono mica tutti ingarellati di quattro cilindri. C’è anche qualche ingegnere che decide di cimentarsi anche in quest’altro esperimento (piro)tecnico. E, nel 1969, vanno oltre ogni limite. La neonata Kawasaki 500 cc Mach III H1 non ha solo tre cilindri, è pure due tempi. Soprannominata fabbrica di vedove, era venduta come il modo più veloce per volare… direttamente in cielo. La verità è che questo motore inferocito non era stato ingabbiato adeguatamente. E pregare a ogni ingresso in curva non migliorava quel telaio a dir poco flessibile e i freni a tamburo. Ma in Kawasaki vanno avanti per la loro strada e, tre anni dopo, buttano fuori la versione 750. Con uno slogan accattivante: “…e con questa riuscirai a impennare a 180 km/h“. Dove non poté l’estinzione dei manici, ci riuscì la regolamentazione per le emissioni nella lontana California, che mise all’indice il due tempi. A vantaggio della più amichevole, anche per l’ambiente, 750 quattro tempi. Ma Kawasaki non è mica l’unica giapponese che si cimentò nella produzione di un tre. Pensa solo alla Suzuki GT-550 con quella vistosa presa d’aria sulla testa e dimmi se non è una scultura da tenere in salotto. Ma scusa, e la Honda NS400 R? Già, proprio quella che sembrava la moto da granpremio di Freddie Spencer e che, sotto la carena, ha un V3 da più di 70 cv.

Tre cilindri 10

IN ITALIA INVECE… Il tre da noi fa la sua gavetta in pista. Terra di mono e di pomponi, è tradizione del Bel Paese quella di sperimentare le nuove mode tra i cordoli e poi, quando il pubblico è pronto ad accettare le novità, esportarle su strada. Pioniere corsaiolo del tre è MV Agusta che, a metà degli anni ’60, schiera addirittura due cilindrate: 350 e 500 cc. In sella c’è Agostini, che diventa campione del mondo ben 13 volte, prima di proseguire la sua marcia trionfale col quattro. Oggi, la tradizione del tre viene riproposta dalla Casa lombarda con moto di 800 cc: naked brutali, turismo veloci o pistaiole rétro come la Superveloce. Ma in realtà, negli anni ’70, la popolarità del tre cilindri sportivo venne sfruttata da un altro marchio nostrano, questa volta vicentino. La Laverda: le arancioni di Breganze che inventarono le maximoto italiane. Ne vuoi una? Se guardi tra le moto dell’asta autunnale di Bonhams ci trovi proprio lei, la Jota 1000 (questo esemplare è del 1981). In anni più recenti ti ricordi sicuramente di un’altra tre cilindri, la Tornado, la supermoto che vide (ri)nascere la Benelli.

Tre cilindri 4

DALL’ALTRA PARTE DELLE ALPI. Alla fine degli anni ’80 a Monaco di Baviera hanno il problema delle emissioni dell’iconico motore bicilindrico boxer, il simbolo delle due ruote Bmw. E così, nelle teste degli ingegneri comincia a prendere forma l’idea di una serie di moto con motori pluricilindrici, montati a sogliola. Nasce così la fortunata serie K: 1000 cc (K100) e 750 cc (K75). Il tre cilindri è il motore più piccolo e siccome sono tedeschi, li distinguevi anche spenti e da dietro. Conta gli angoli della sezione dello scarico e saprai il numero di pistoni… Con la mezza carena, che poi era semplicemente un cupolino più generoso, o naked, oggi purtroppo è la base preferita da quelli che cancellano la storia al grido di café racer. Ma se ne trovi una a posto, varrebbe la pena di farci un pensierino. Il giro del mondo in tre cilindri finisce in Inghilterra, da dove era partito. Se vuoi un tre British trovi ancora l’immancabile Triumph. E se la reinterpretazione più interessante di questa soluzione tecnica rimane la Speed Triple che, quando uscì negli anni ’90, era sexy almeno quanto il Monster, oggi potresti aver voglia di una maxi triple, anzi, del più grande tre cilindri mai montato su una moto di serie (un 2500 cc!). In questo caso lo trovi, disposto longitudinalmente, dentro al telaio di un dragster travestito da custom, quello della Rocket 3.

Tre cilindri 3

Scopri le altre puntate della cilindropedia

  • Tre cilindri 1
  • Tre cilindri 2
  • Tre cilindri 3
  • Tre cilindri 4
  • Tre cilindri 5
  • Tre cilindri 7
  • Tre cilindri 6
  • Tre cilindri 8
  • Tre cilindri 9
  • Tre cilindri 10
  • Tre cilindri 11
  • Tre cilindri 11
  • Tre cilindri 12
  • Tre cilindri 13
  • Tre cilindri 14
  • Tre cilindri 15
  • Tre cilindri 16
  • Tre cilindri 17
  • Tre cilindri 18
  • Tre cilindri 19
  • Tre cilindri 20
  • 1c1bbe86e0bd38c5e27a4d398d89e0e9 (1)
CONDIVIDI SU
Un commento su “Triple. Lo chiamavano Trinità”
  • Alberto Spriano ha scritto:

    L’inizio dell’architettura motoristica tre cilindri quattro tempi fu a Mandello del Lario nel 1932 con la Moto Guzzi 500 Tre Cilindri, motocicletta con cui Carlo Guzzi si presentò al ristretto mercato internazionale delle moto di alto prestigio.
    Alla stradale, seguì nel 1937, la celeberrima 500 Tre Cilindri Compressore bialbero con compressore a palette Cozette.

    Nelle due tempi l’origine è la DKW di Zoller e nel dopoguerra di Wolf e Jacob, la velocissima DKW SS 350 tre cilindri a V, due cilindri affiancati frontemarcia e leggermente inclinati in avanti (15°) e un cilindro orizzontale, tutti a tre travasi.

    La soluzione per rendere più regolare l’erogazione della tre cilindri a V due tempi era di rendere equidistanti nel giro motore i tre scoppi. Per realizzare questo principio sì lavoro’ sulle fasature angolari delle manovelle dell’albero motore. Questa la formula equilibratrice: 120° fra i due cilindri affiancati, 45° fra il cilindro orizzontale e quello verticale di destra, 165° fra lo stesso cilindro orizzontale e quello verticale di sinistra. Questo tre cilindri a V era un capolavoro di compattezza. L’albero motore era largo 275 mm, e poggiava su quattro cuscinetti a rulli.

    Quando Honda decise di scendere in pista, dopo i fallimenti della NR 500 del 1979 a pistoni ovali, otto valvole e doppie bielle, la fallimentare Never Run, si studiò i brevetti e gli studi di Zoller, Wolf e Jacob e realizzò la NS 500 di Freddie Spencer con una variante, cilindro verticale posteriore di maggiore cilindrata e due paralleli orizzontali della stessa cubatura con distribuzione a pacco lamellare. I due cilindri paralleli orizzontali raffreddavano grazie alla distribuzione a liquido, nella DKW, Zoller nel configurò uno solo orizzontale con alettatura radiale per ragioni di raffreddamento e di equilibratura.

    Il tre cilindri a V era un’architettura necessario nelle due tempi, necessaria perché consentiva di avere nei cilindri le luci di aspirazione e lavaggio a sezione costante, senza strozzature o variazioni come successe sulle scorbutiche Kawasaki H1 e Mach 3 o limitanti come sulla Suzuki GT 380 e la GT750 raffreddata a liquido con ingombri trasversali da 4 cilindri frontemarcia.

Lascia un commento

INCENTIVE
VIDEO
ALTRI VIDEO