In viaggio verso il Nürburgring con la Mini

CHE SORPRESA – Un giorno arriva una telefonata in redazione. Ma non ho risposto io. So solo che parlava di Nürburgring. Quindi, quando mi dicono, “vai a ritirare una Mini John Cooper Works Cabrio a San Donato”, non ho minimamente collegato le due cose. Sono un ingenuo, lo so. E così, il giorno prima della 24 ore tedesca, mi sono ritrovato con il volante della Mini tra le mani e il grosso navigatore che campeggia in mezzo alla plancia che mi mostrava la destinazione finale (circondata da un’aureola verde, che ho spento immediatamente): Nürburgring, appunto. A quasi 900 chilometri di distanza. I viaggi più belli sono quelli che ti sorprendono così. Come il temporale che mi ha costretto a tirar su la capote dopo tre semafori dal via. Per fortuna il movimento elettrico è rapido e si riesce a farlo al primo rosso che trovi. Ti confesso che non ho avuto molto tempo di guardarla bene, questa Mini. Infatti, la prima cosa che ho notato non è stato il tettuccio in stoffa (e che stoffa!), con l’enorme bandiera inglese in tonalità di grigi. E neanche che per mettere le cose nel baule devi fare le manovre come per entrare nel tuo garage. No, la prima cosa che ho notato sono stati i sedili. Comodi come quelli che vorresti sulla tua macchina e che invece non hai (sono quelli sportivi JCW).

LA SELEZIONE È QUELLA GIUSTA – Per una schilometrata da endurance, ho impostato subito la modalità eco: l’idea era quella di aumentare l’autonomia. Invece mi sono ritrovato improvvisamente in barca. Sospensioni morbide: bene in città, ma sulle tortuose strade Svizzere (perché sì, tra l’Italia e il ’Ring c’è la Svizzera di mezzo), anche no. E uno sterzo da utilitaria, di lusso, ma sempre da utilitaria rimane. C’è una modalità di mezzo, che sembra quella che vuoi, invece quando provi la più sportiva capisci che questa è la Mini che hai comprato per oltre 50mila euro (visti gli optional che monta questa versione provata, ndr). Hanno messo anche uno strano cicaleccio che te lo ricorda a ogni cambiata: lo scarico che borbotta. Il volante diventa un bisturi e le sospensioni si irrigidiscono (ma puoi sempre ammorbidirle). Ah, nel frattempo la nuvola di Fantozzi mi ha lasciato in pace e nonostante il freschino dei 2066 metri del passo del San Bernardino, la capote torna giù. Troppe curve allegre fanno venire le scalmane, si sa. In Germania le velocità aumentano e il panorama comincia finalmente a correre. Cosa che mi permette di confermarti che anche sopra i 200 km/h la cabrio si comporta da spider, cioè non ti intontisce con vortici e turbolenze. Merito soprattutto del frangivento, optional, che puoi togliere e mettere anche se sei solo. Bene così. A metà strada i sedili continuano a essere comodi e il ’Ring distante. Mi viene una curiosità. Accosto e chiudo la capote. La macchina pare più rumorosa che da aperta. Quello che senti non viene da sopra, perché la tela fa il suo dovere. Ma da sotto: infatti le gomme ti sembra di averle in braccio. E l’asfalto idem. Riaccosto e riapro. La prossima curiosità che mi viene me la tengo.

LA COMPAGNIA CHE PIACE – Al primo pieno comincio a guardare cosa sto guidando. Una macchina con un prezzo non regalato che va come una che vorresti che ti regalassero. Rispetto alle serie precedenti ha raggiunto il limite massimo di orpelli permessi dal codice stradale (leve, strumentazione, casse, accostamenti di colori). La prossima sarà più semplice, me lo sento. Ma intanto mi voglio godere questa, che va da dio. Gli ultimi 200 chilometri sono il viaggio che hai sempre sognato di fare. Temperatura fantastica e luci incantate su una cabrio che ti tiene compagnia facendoti le fusa a ogni carezza che fai all’acceleratore. E un’autostrada semideserta che ti dice solo ‘vai’. A un certo punto sarà la stanchezza del viaggio, sarà la scritta Nürburgring che illumina questa lunga sera del nord Europa, ma ti confesso che ho pensato di sognare. Quando mi sono svegliato era già domenica. Ero di nuovo a San Donato. Fresco come una rosa. Il contachilometri diceva che da venerdì erano passati più di 1800 chilometri. Ma io non gli ho creduto.